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Cronaca Giudiziaria

Omicidio di Giulio Giaccio: D’Alterio lo uccise sparandogli a bruciapelo alla testa

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Omicidio di Giulio Giaccio: D’Alterio lo uccise sparandogli a bruciapelo alla testa

Sono agghiaccianti i racconti dei due pentiti di camorra che hanno consentito di fare piena luce sulla crudele esecuzione della vittima innocente Giulio Giaccio avvenuta tra le campagne di Pianura e Marano il 30 luglio del 2000. L’operaio fu ucciso e poi sciolto nell’acido per volere del clan Polverino perchè scambiato per un certo Salvatore che era fidanzato con la sorella di un boss che non approvava quella relazione.

Per quell’omicidio sono già a processo (sono stati chiesti 30 anni di carcere) Salvatore Cammarota, 56enne genero di Antonio Polverino “Zì Totonno”, e Carlo Nappi, insieme al pentito Roberto Perrone detto “paperone”. E ieri sono finiti in carcere il 52enne Raffaele D’Alterio, Luigi De Cristofaro 54 anni detto “’o mellone” e il 56enne Salvatore Simioli “’o sciacallo”.

A parlare per primo di quel macabro delitto fu l’ex boss di Quarto, Roberto Perrone diventato collaboratore di giustizia. “Pensavo al massimo a un pestaggio, non a un omicidio. Perciò nei giorni successivi protestai con gli altri del clan per essere stato chiamato a partecipare a un’azione di cui non sapevo l’obiettivo. Non avrei acconsentito a un omicidio per un movente del genere e in ogni caso non sarei andato a prelevare il ragazzo. D’Alterio gli abbassò la testa tra le ginocchia sparandogli a bruciapelo alla testa.

Dopo la segnalazione di un altro affiliato giungemmo in auto nella piazzetta dei Romani, dove trovammo Giaccio con un amico. Gli chiedemmo se fosse lui Salvatore, e il ragazzo negò. Io e Simioli, che indossavamo le false pettorine della Polizia, lo caricammo in macchina: ci allontanammo dalla zona e D’Alterio, all’improvviso, gli abbassò la testa tra le ginocchia sparandogli a bruciapelo alla testa. Quando giungemmo alle “Vaccarelle” (un podere agricolo in una località isolata tra Marano e Pianura, ndr) trovammo Salvatore Cammarota, il mandante del delitto, che tirò fuori il corpo senza vita di Giulio e gli sferrò un calcio, con insulti pesanti, sebbene fosse già morto”. Subito dopo un altro affiliato, Carlo Nappi, sciolse il cadavere nell’acido, disperdendo poi quel che ne rimaneva lungo un canalone.

Una ulteriore conferma sui partecipanti al delitto arriva dalle dichiarazioni di un altro pentito, ovvero Giuseppe Ruggiero, esponente del clan Polverino che – come riporta Il Roma – in un verbale del 27 ottobre 2023 ha raccontato: “Noi ci chiamammo fuori perché ritenevamo incom-prensibile uccidere una persona per una relazione amorosa. Nappi e Cammarota ne parlarono con me, Fabio Allegro e Sabatino Cerullo, ma da subito tutti e tre ci tirammo indietro.

“Della dinamica e delle persone coinvolte fu messo al corrente dopo due giorni da Raffaele D’Alterio, Roberto Perrone, Salvatore Simioli “o’sciacallo” e Luigi De Cristofaro “mellone”. Costoro mi dissero che il gruppo di fuoco era composto da loro stessi presenti nell’auto- vettura a bordo della quale fu fatta salire la vittima e a bordo della quale fu uccisa. Da quello che mi fu raccontato, a sparare era stato Raffaele D’Alterio, il quale abbassò la testa del ragazzo tra le ginocchia e gli sparò alla nuca. “Zio Totonno” (Antonio Polverino) prese molto male tale vicenda, di cui non era stato informato. Anzi, venne da noi a informarsi su chi potesse essere stato, appartenendo la vittima a una buona famiglia di Marano. Visto l’atteggiamento piuttosto alterato di “zio Totonno” negammo tutti di sapere qualcosa, sia noi che c’eravamo chiamati fuori sin da subito che il Cammarota e il Nappi che quel delitto avevano commissionato”.
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Cronaca Giudiziaria

Latitante tradito dai parenti influencer: arrestato Carabinieri in Spagna per legami con la Camorra.

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Latitante tradito dai parenti influencer: arrestato Carabinieri in Spagna per legami con la Camorra.

La scoperta attraverso i social

La storia di Vincenzo Matacena, 39enne del rione Traiano ricercato per traffico di droga, ha preso una piega inaspettata grazie ai social media. Dopo essere fuggito in Spagna per rifarsi una vita come pizzaiolo a Valencia, Matacena è stato individuato grazie all’analisi dei profili social dei suoi familiari.

Le prove sui social

Una storia Instagram pubblicata da un parente ha svelato la presenza di Matacena in Spagna, mentre altri indizi sono emersi da video condivisi da persone vicine al ricercato. In particolare, un video di “unboxing” ha permesso ai Carabinieri di risalire all’indirizzo di Matacena, mentre altri video lo hanno mostrato insieme alla moglie, al figlio e durante il suo lavoro in pizzeria.

Curiosamente, la maglia del figlio in uno dei video ha rivelato il nome della scuola che frequentava, fornendo ulteriori dettagli utili per l’indagine.

L’arresto e l’attesa dell’estradizione

Grazie alla collaborazione con la Polizia Nazionale Spagnola, Matacena è stato arrestato e attualmente si trova in un carcere spagnolo in attesa di estradizione. La sua fuga e il tentativo di ricominciare una nuova vita sono stati vanificati dalla paziente ricerca condotta attraverso i social media, dimostrando una volta di più il potere e l’importanza di questi strumenti nella lotta alla criminalità.

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Cronaca Giudiziaria

Gratteri: mafia in pareggio, lotta ancora in corso

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Gratteri: mafia in pareggio, lotta ancora in corso

La trasformazione della mafia e la necessità di investire in ingegneri informatici

Il procuratore della Repubblica di Napoli, Nicola Gratteri, ha presentato il report della Fondazione Magna Grecia sul cyber crime nella sede Onu di New York, evidenziando la rapida trasformazione della mafia. Secondo Gratteri, le organizzazioni criminali sono in grado di gestire grandi quantità di droga e oro attraverso transazioni online senza spostarsi dai propri luoghi di residenza.

La lotta alla mafia e il ruolo delle forze dell’ordine

Gratteri ha sottolineato l’importanza di investire in giovani ingegneri informatici per contrastare efficacemente la criminalità organizzata. Ha evidenziato che le mafie stanno abbandonando i tradizionali mezzi di estorsione per concentrarsi sul commercio di droga, un settore estremamente redditizio che genera ingenti profitti ogni anno.

Le nuove sfide della lotta al crimine online

L’evoluzione delle mafie verso il cyber crime rappresenta una sfida per le forze dell’ordine, che devono adattarsi e potenziare le proprie capacità investigative. Gratteri ha evidenziato come le mafie siano in grado di sfruttare le nuove tecnologie per compiere azioni illegali, come il riciclaggio di denaro attraverso banche online create ad hoc.

Gratteri ha anche avvertito sul pericolo che le mafie accumulino sempre più ricchezza, con conseguente impatto sull’economia globale. È quindi fondamentale intensificare gli sforzi nella lotta al crimine organizzato e investire in nuove competenze per contrastare questa nuova forma di criminalità.

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Scopri i misteri del pentimento di Schiavone, il boss sanguinario.

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Scopri i misteri del pentimento di Schiavone, il boss sanguinario.

Perché Sandokan si è pentito?

La decisione di collaborare con la giustizia da parte dell’ex boss dei Casalesi, Sandokan, ha suscitato domande tra gli addetti ai lavori dell’antimafia. I magistrati stanno ascoltando le sue confessioni da circa un mese, ma il motivo preciso del suo pentimento non è ancora chiaro agli occhi del pubblico.

Le ipotesi sul pentimento di Sandokan

Una delle ipotesi riguarda il miglioramento delle condizioni detentive come motivazione principale di Sandokan per collaborare. Potrebbe aver scelto questa strada per ottenere benefici penitenziari e puntare a una possibile liberazione anticipata in futuro.

Un’altra possibile ragione potrebbe essere legata alla sicurezza dei suoi familiari. La moglie Giuseppina Nappa e i sette figli potrebbero aver avuto un ruolo determinante nel suo pentimento, con alcune figlie che si sono già dichiarate disponibili a collaborare con le autorità e ad entrare nel programma di protezione.

La riunificazione familiare potrebbe essere un altro motivo dietro la decisione di Sandokan di pentirsi. Con alcuni figli già in carcere e uno che ha rifiutato di collaborare, la scelta potrebbe essere stata volta a cercare una forma di unità familiare, anche attraverso la collaborazione con la giustizia.

Infine, motivi personali come una diagnosi di tumore nel 2018 potrebbero aver giocato un ruolo nel pentimento di Sandokan. La consapevolezza della sua malattia e la possibile disgregazione del suo clan potrebbero averlo spinto a compiere questa scelta per mandare un messaggio agli ex affiliati e rivali.

Il futuro di Sandokan

Le confessioni di Sandokan potrebbero avere un impatto diretto nella lotta alla criminalità organizzata in Campania. Il destino dell’ex boss dipenderà dalle informazioni che fornirà attraverso la collaborazione e dalla loro importanza per le indagini in corso.

Al momento, le vere ragioni del suo pentimento rimangono avvolte nel mistero. Solo il tempo e lo sviluppo del processo di collaborazione potranno fare chiarezza sui reali motivi che hanno spinto Sandokan a tradire il suo clan.

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