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Cronaca

Camorra napoletana: Il pentito Errico D’Ambrosio smaschera la rete nascosta del clan Amato-Pagano, un’altra crepa nel sistema. (84 caratteri)

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Camorra napoletana: Il pentito Errico D’Ambrosio smaschera la rete nascosta del clan Amato-Pagano, un’altra crepa nel sistema. (84 caratteri)

#PentitoDAmbrosioSvelaLaCamorra: I segreti del clan Amato-Pagano tra Napoli e l’Europa, una rete di droga che avvelena il territorio

Napoli, la città che conosco fin dalle radici, continua a essere un teatro di ombre dove le storie di pentiti come Errico D’Ambrosio illuminano gli angoli più bui della camorra. Le sue rivelazioni, nate dalle indagini sul clan Amato-Pagano, non sono solo fatti su carta, ma un campanello d’allarme per chi vive questi quartieri: una rete di traffici e alleanze che prosciuga le risorse delle nostre comunità, lasciando famiglie e giovani intrappolati in un ciclo di violenza e corruzione. Come cronista locale, non posso fare a meno di riflettere su come queste dinamiche, radicate nei vicoli di Melito e Scampia, riflettano un sistema criminale che si è evoluto in una vera e propria impresa transnazionale, sfruttando connessioni internazionali per rafforzare il controllo sul territorio.

D’Ambrosio, con un passato nel commercio internazionale di stupefacenti, è emerso come un tassello cruciale nelle indagini avviate dal 2024. Le sue parole hanno delineato i flussi di droga che, tra il 2021 e il 2023, hanno gonfiato le finanze del clan, un meccanismo ben oliato che vedeva la criminalità organizzata intrecciarsi con influenti famiglie esterne. Dopo essere stato liberato nel settembre 2021, D’Ambrosio venne “raccomandato” dalla famiglia Molè, una potenza calabrese, al gruppo di Melito, trasformandolo in un punto fermo per le importazioni di cocaina dalla Spagna. È ironico, se ci pensate, come queste alleanze regionali non facciano altro che evidenziare la fragilità delle nostre difese locali contro un mostro che si nutre di confini porosi.

Quella raccomandazione dai Molè aprì le porte a una rete più vasta. Secondo i resoconti forniti ai magistrati, il capo dei Molè, Nino Molè, collegò D’Ambrosio direttamente con Antonio Pompilio, noto come ’o Cafone, attraverso una chat criptata dove Pompilio operava sotto il nickname Flauto. Da quel momento, D’Ambrosio si inserì nelle operazioni del gruppo di Melito, gestendo affari di stupefacenti anche per clan come quelli di Simone Bartiromo e Attanasio a Ponticelli. È qui che si vede la vera faccia della camorra campana: non un’entità isolata, ma un tessuto connettivo che lega diverse aree, sfruttando la geografia locale per espandere il controllo. Come giornalista che vive queste dinamiche, mi chiedo quanto ancora potremo tollerare un sistema che trasforma i nostri quartieri in hub per il narcotraffico, erodendo il tessuto sociale giorno dopo giorno.

Le sue descrizioni dei rifornimenti di cocaina dalla Spagna, specialmente da Malaga, svelano un’operazione meticolosa. Pompilio si approvvigionava di cocaina boliviana tramite un intermediario arabo chiamato Ciack, e D’Ambrosio aveva il ruolo di “controllore” per verificare la qualità prima della spedizione. Se tutto andava liscio, Pompilio piazzava un GPS nei container e seguiva personalmente il viaggio via terra fino in Italia. Tra novembre e dicembre 2022, D’Ambrosio partecipò a due viaggi con Pompilio e un altro membro, Enzo detto Tempesta, per chiudere accordi con i fornitori spagnoli. Questa meticolosità mi fa riflettere: è come se questi clan stessero gestendo un’azienda multinazionale, con logistica e sorveglianza da grande impresa, eppure i profitti finiscono per devastare le nostre periferie, alimentando dipendenze e disordini che paghiamo tutti.

Le comunicazioni interne del clan erano avvolte nel segreto, tramite la piattaforma Matrix, dove ogni membro usava un nome in codice. Pompilio era Johnny (precedentemente Matto), Antonio Marrone era Prince, Raffaele Marrone Gazebo, Maurizio Errichelli Le Mans, Enrico Bocchetti Benzemà, e Vincenzo Nappi Brad. D’Ambrosio spiegò come la droga venisse immagazzinata in un deposito a Gricignano di Aversa, noto solo a pochi insider come Pompilio, Marrone e Bocchetti. Dopo un’operazione delle forze dell’ordine e alcuni arresti, Bocchetti assunse il controllo della merce, diventando il nuovo leader. Da locale, vedo in questi dettagli non solo un gioco di pseudonimi, ma un simbolo di quanto la camorra si sia adattata ai tempi moderni, usando tecnologia per mascherare attività che continuano a inquinare il nostro quotidiano.

Nelle sue deposizioni del luglio 2024, D’Ambrosio ha tracciato una mappa del potere del clan tra il 2021 e il 2023, coprendo zone chiave come Melito, Scampia e Mugnano. A Melito, Vincenzo Nappi – il Pittore – gestiva le operazioni fino al suo omicidio, quando venne rimpiazzato da Bocchetti Enrico. A Scampia, le piazze di spaccio erano sotto Salvatore della 33, legato anche al gruppo Abbinante. Ai Sette Palazzi, Alessandro De Cicco, detto Gettone, cedette il posto a Cicciotto Careca. Lo Chalet Bakù era controllato da Ciccio Raia fino al suo arresto, mentre a Mugnano le estorsioni erano dirette da Carlo Calzone, detto Pisano. Al vertice c’era Pompilio, che orchestrava tutto dalla sua base a Mugnano, finché non fuggì dopo l’omicidio di Nappi. Questa geografia criminale non è solo una lista di nomi: è una radiografia delle nostre strade, dove ogni quartiere è un pezzo di un puzzle che strangola l’economia locale e scoraggia gli investimenti onesti.

Tra le figure chiave, D’Ambrosio ha puntato i riflettori su Debora Amato, sorella di Lello Amato, descritta come una presenza dominante nei summit del clan. “Molto temuta”, lei partecipava alle riunioni nelle case sicure insieme a Pompilio, prendendo decisioni strategiche con il marito Mimmo, che subentrò alla guida dopo l’arresto di Bocchetti. Pompilio confidò di essere “stressato dalle sue continue visite” e di sospettare controlli della DIA, con intercettazioni e microspie in atto. Come chi vive qui, non posso ignorare come donne come lei sfidino gli stereotipi, ma al tempo stesso incarnino il profondo radicamento della camorra nelle famiglie, perpetuando un ciclo che opprime le generazioni future.

Il racconto si estende a un viaggio di Debora Amato e Mimmo a Barcellona nel luglio 2023, per un “incontro chiarificatore” con Pompilio, mirato a verificare i conti del clan e placare tensioni interne legate a presunti tradimenti. Nonostante le rassicurazioni di Debora che Bocchetti non avrebbe fatto del male, Pompilio decise di restare in Spagna per paura. Queste frizioni, come ha evidenziato D’Ambrosio, derivavano da una “società” parallela creata da Pompilio e i suoi alleati – tra cui Antonio Marrone, Carlo Calzone, Carletto il Piccolino (Giovinco), Enzo Tempesta, Maurizio Errichelli e Careca – per gestire la droga al di fuori di Melito e Mugnano, generando profitti fino a 40 mila euro al mese. Quando Bocchetti scoprì la divisione dei guadagni, scoppiò un conflitto che costrinse Pompilio alla fuga. È un ritratto amaro di avidità interna, che non fa che rafforzare il mio scetticismo sulle capacità di auto-distruzione di questi gruppi, anche se continuano a prosciugare le risorse del nostro territorio.

Infine, le affermazioni di D’Ambrosio si allineano con quelle di altri pentiti attendibili, come Raffaele Imperiale, Bruno Carbone, Tsvetan Sabev e Salvatore Roselli, confermando un sistema di traffico internazionale gestito dal clan Amato-Pagano. Questo mosaico di testimonianze dipinge una struttura criminale ramificata, simile a un’azienda con gerarchie rigide e operazioni transcontinentali, che opera indisturbata tra l’Europa e la Campania. Per noi che viviamo qui, è un invito a riflettere: finché non affrontiamo le radici sociali di queste reti – dalla disoccupazione alle disuguaglianze – continueremo a vedere pezzi di questo puzzle cadere, ma il quadro complessivo resterà intatto, avvelenando il futuro della nostra Napoli.

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