Cronaca
Cinque persone arrestate nel clan Gionta a Torre Annunziata.
I cinque indagati avrebbero costretto la dirigenza di una squadra di calcio del territorio a pagare 3mila euro al clan per continuare l’attività sportiva.
Perfino la squadra di calcio doveva pagare la camorra per poter continuare la propria attività sportiva. Questa mattina, a Torre Annunziata, nella provincia di Napoli, i carabinieri del Gruppo locale, su richiesta della Direzione distrettuale antimafia partenopea, hanno eseguito una ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di cinque persone, indiziate, a vario titolo, di estorsione e usura aggravati dal metodo mafioso e dalle finalità di agevolare il clan Gionta, operante proprio a Torre Annunziata e nelle zone limitrofe.
L’azione della Direzione Distrettuale Antimafia
Stando a quanto ricostruito dagli inquirenti durante l’attività investigativa, i cinque indagati avrebbero costretto i dirigenti di una squadra calcistica del territorio a pagare 3mila euro per poter continuare l’attività sportiva. Inoltre, gli indagati avrebbero concesso prestiti con tassi da usura a un imprenditore attivo nel settore ittico, che sarebbe stato poi pesantemente minacciato per costringerlo a restituire il denaro ricevuto.
Procedimento legale e status degli indagati
Si ricorda che il provvedimento eseguito è una misura cautelare disposta in sede di indagini preliminari, avverso cui sono ammessi mezzi di impugnazione e i destinatari della stessa sono persone sottoposte alle indagini e, quindi, presunte innocenti fino a sentenza definitiva.
Cronaca
Chirurgia robotica salva un 12enne con cardiopatia e sordità al Ruggi di Salerno.
Un ragazzino di 12 anni di Avellino operato al Ruggi di Salerno
Un ragazzino di appena 12 anni della provincia di Avellino è stato recentemente salvato grazie a un’operazione chirurgica di grande successo presso l’Ospedale San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona di Salerno. Questo intervento ha segnato una svolta importante nella vita del giovane, che fino a quel momento aveva affrontato numerosi problemi di salute.
Un intervento complesso
Il ragazzo soffriva di una cardiopatia congenita dalla nascita e aveva anche un impianto cocleare per gestire la sordità, insorta dopo una lunga degenza in terapia intensiva. A causa di forti dolori e vomito, era stato ricoverato in precedenza in due diverse cliniche, in Italia e all’estero, dove gli era stata diagnosticata una colecistite. Tuttavia, il quadro clinico si era rivelato più complesso, e i medici del nosocomio salernitano hanno deciso di intervenire.
Il ruolo della chirurgia robotica
Grazie alla tecnologia avanzata e all’abilità dei radiologi del Ruggi, è stato possibile individuare che la colecisti del ragazzino era notevolmente allungata, con formazioni che occupavano spazio al suo interno. Questa condizione causava le colecistiti, comprimendo le vie biliari extraepatiche. Dopo l’immediato ricovero, l’équipe chirurgica diretta dal dottor Umberto Ferrentino ha proceduto con l’intervento. Durante l’operazione, è stata asportata la colecisti e sono state liberate le vie biliari ostruite dalle aderenze.
Ritorno alla normalità
L’operazione ha avuto un decorso positivo e il ragazzo ora gode di ottima salute. È stato dimesso tra l’entusiasmo e la gratitudine di medici e familiari, che hanno potuto riabbracciare un giovane finalmente libero da dolori e ristabilito. Questa storia rappresenta un esempio significativo delle possibilità offerte dalla moderna chirurgia pediatrica e dalla collaborazione medica multidisciplinare.
Cronaca
L’amico di Emanuele Tufano sarà affidato a una comunità su richiesta della madre.
La madre di uno dei minorenni feriti nella sparatoria in cui è stato ucciso Emanuele Tufano ha pubblicato un appello sui social, sostenendo di avere più volte chiesto aiuto per il figlio.
Il drammatico appello di una madre
In seguito alla tragica sparatoria in cui ha perso la vita Emanuele Tufano, emergono nuovi dettagli sull’impatto devastante dell’evento sulle famiglie coinvolte. La madre di uno dei ragazzi feriti, profondamente turbata, ha deciso di rivolgersi ai social per lanciare un disperato appello. Nel suo messaggio, la donna ha dichiarato di aver ripetutamente cercato aiuto per il figlio, chiedendo supporto per prevenire ulteriori disastri: “Salvate mio figlio, chiudetelo in comunità”.
Richieste di aiuto inascoltate
La determinazione della madre nel proteggere il proprio figlio dall’ambiente pericoloso in cui si trovava è accompagnata da una profonda frustrazione per il mancato ascolto delle autorità competenti. Secondo la sua testimonianza, più volte ha cercato di ottenere un intervento adeguato che potesse offrire un’alternativa valida e sicura al giovane, ma le sue richieste sono rimaste inascoltate. Questo evento tragico ha riacceso il dibattito sulla necessità di garantire un accesso più efficace alle comunità di supporto per i minorenni a rischio.
Implicazioni sociali ed emotive
L’appello della madre sottolinea i gravi problemi sociali ed emotivi che circondano questi eventi violenti. Le famiglie colpite sono spesso costrette ad affrontare una realtà difficile, cercando soluzioni in un sistema che sembra non rispondere adeguatamente alle loro necessità. L’urgenza di questo appello riporta l’attenzione sulla necessità di interventi strutturali e supporti efficaci per gli adolescenti e le loro famiglie, al fine di prevenire ulteriori tragedie.
Cronaca
Il piano di omicidio ideato da me e papà
Un’operazione di polizia ha portato all’arresto del boss Rosario Piccirillo e del figlio Antonio per tentata estorsione, in seguito alle denunce avanzate dalla tiktoker Rita De Crescenzo e suo marito. L’indagine mira a smantellare gli intrecci criminali che legano il clan federato con l’Alleanza di Secondigliano.
La minaccia diretta alla tiktoker
La tiktoker Rita De Crescenzo ha dichiarato di essere stata minacciata da Antonio Piccirillo, figlio del famigerato boss di Mergellina. La minaccia, che fa parte degli atti giudiziari presi in esame dagli inquirenti, risale ad aprile 2021 ed è legata alla gestione di alcune boe in via Caracciolo. Antonio Piccirillo avrebbe preteso tali posti d’ormeggio, rivendicandoli come proprietà familiare e minacciando di usarli con la forza qualora il rifiuto fosse persistito. Rita De Crescenzo e suo marito, Salvatore Bianco, avrebbero opposto resistenza all’intimidazione, ricevendo come risposta minacce di morte estese al padre Rosario.
Un passato di disconoscimento della camorra
Antonio Piccirillo, noto per essersi distanziato anni fa dalla camorra e aver rinnegato il padre, appare oggi in una luce differente. Dopo il ferimento di una bambina di 4 anni in un agguato del 2019, aveva partecipato ad un sit-in contro la camorra e si era candidato al Comune di Napoli. Tuttavia, nonostante il suo passato di disconoscimento delle pratiche camorristiche, le indagini hanno evidenziato il coinvolgimento del giovane in atti illeciti di estorsione, distorcendo così la sua immagine di paladino anti-camorra.
Un clan sotto esame
L’arresto di Rosario e Antonio Piccirillo evidenzia le complesse dinamiche criminali del territorio napoletano. Le boe oggetto delle minacce appartenevano a un precedente proprietario, deceduto anni fa, e Antonio avrebbe preteso di prenderne possesso per diritto familiare. Le vicende sotto indagine dimostrano quanto sia ancora sfidante contrastare l’influenza di clan ben radicati nella vita sociale della regione, che riescono a imporsi con tentate estorsioni e prepotenze ai danni di imprenditori e privati cittadini.