Cronaca Giudiziaria
Lettera di Augusto La Torre a Sandokan: “Svela la verità, pentito a metà”
L’ex boss del clan La Torre di Mondragone, Augusto La Torre, 62 anni, ha scritto una lettera di tre pagine inviata recentemente tra gli altri al suo avvocato Antonio Miraglia Latorre e al nuovo pentito Francesco Schiavone Sandokan. La Torre, che ha una laurea in Psicologia ed è titolare di vari corsi di laurea e master in criminologia, è stato precedentemente definito un “pentito a metà” per aver ritrattato la sua versione dei fatti in diverse occasioni, in particolare durante il processo per la strage di Pescopagano avvenuta nell’aprile del 1990. La notizia è stata riportata dall’edizione di Caserta del Mattino.
La Torre, tra k’altro si chiede anche se saranno rivelati da Schiavone “intrecci con la politica, la gestione della camorra in diversi comuni dell’agro Aversano (richiamando qui nomi di altri collaboratori come Carmine Schiavone, De Simone, Quadrano, Iovine); se Sandokan svelerà i retroscena di un duplice omicidio di due uomini di colore uccisi per sbaglio di fronte all’Hotel Scalzone a Castel Volturno; se dirà la verità che lui conosce sull’uccisione di Enzo De Falco; se smentirà quanto affermato da suo cugino Carmine sul delitto di don Diana; se rilascerà dichiarazioni sugli affari gestiti con gli stessi suoi stretti parenti e, ancora, se smentirà i pentiti che hanno dichiarato il falso. Oppure resterà in silenzio?”. E aggiunge: “Personalmente, conoscendo ‘compare Ciccio’ dal 1983-1984, spero possa chiudere la sua storia da uomo, e che quindi abbia il coraggio e l’onestà intellettuale di dire solo la verità che è in sua conoscenza diretta, senza spaventarsi di nulla e senza conformarsi all’altrui volontà o finire in un tritacarne”.
E poi conclude: “Anche se il mio pensiero ha pochissimo valore, ma ha pari dignità di quello di altri conclude ritengo che se Sandokan conserverà la sua autonomia di pensiero e il suo carattere, molti processi dovranno essere rivisti e molte condanne di innocenti dovranno essere annullate”. Oggi è detenuto a Padova nel Polo universitario, La Torre è stato un importante membro del clan dei Casalesi. Tra il 2003 e il 2020, ha ricevuto 38 sentenze che lo hanno riconosciuto come collaboratore di giustizia dai tribunali di Napoli, Roma e Salerno, senza mai ricevere una condanna all’ergastolo ma con limitati benefici legali.
Questo situazione lo ha spinto a fare uno sciopero della fame lo scorso novembre, interrotto solo dopo aver perso 15 chili e subito dopo un malore che ha richiesto il suo ricovero.
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Cronaca Giudiziaria
Latitante tradito dai parenti influencer: arrestato Carabinieri in Spagna per legami con la Camorra.
La scoperta attraverso i social
La storia di Vincenzo Matacena, 39enne del rione Traiano ricercato per traffico di droga, ha preso una piega inaspettata grazie ai social media. Dopo essere fuggito in Spagna per rifarsi una vita come pizzaiolo a Valencia, Matacena è stato individuato grazie all’analisi dei profili social dei suoi familiari.
Le prove sui social
Una storia Instagram pubblicata da un parente ha svelato la presenza di Matacena in Spagna, mentre altri indizi sono emersi da video condivisi da persone vicine al ricercato. In particolare, un video di “unboxing” ha permesso ai Carabinieri di risalire all’indirizzo di Matacena, mentre altri video lo hanno mostrato insieme alla moglie, al figlio e durante il suo lavoro in pizzeria.
Curiosamente, la maglia del figlio in uno dei video ha rivelato il nome della scuola che frequentava, fornendo ulteriori dettagli utili per l’indagine.
L’arresto e l’attesa dell’estradizione
Grazie alla collaborazione con la Polizia Nazionale Spagnola, Matacena è stato arrestato e attualmente si trova in un carcere spagnolo in attesa di estradizione. La sua fuga e il tentativo di ricominciare una nuova vita sono stati vanificati dalla paziente ricerca condotta attraverso i social media, dimostrando una volta di più il potere e l’importanza di questi strumenti nella lotta alla criminalità.
Cronaca Giudiziaria
Gratteri: mafia in pareggio, lotta ancora in corso
La trasformazione della mafia e la necessità di investire in ingegneri informatici
Il procuratore della Repubblica di Napoli, Nicola Gratteri, ha presentato il report della Fondazione Magna Grecia sul cyber crime nella sede Onu di New York, evidenziando la rapida trasformazione della mafia. Secondo Gratteri, le organizzazioni criminali sono in grado di gestire grandi quantità di droga e oro attraverso transazioni online senza spostarsi dai propri luoghi di residenza.
La lotta alla mafia e il ruolo delle forze dell’ordine
Gratteri ha sottolineato l’importanza di investire in giovani ingegneri informatici per contrastare efficacemente la criminalità organizzata. Ha evidenziato che le mafie stanno abbandonando i tradizionali mezzi di estorsione per concentrarsi sul commercio di droga, un settore estremamente redditizio che genera ingenti profitti ogni anno.
Le nuove sfide della lotta al crimine online
L’evoluzione delle mafie verso il cyber crime rappresenta una sfida per le forze dell’ordine, che devono adattarsi e potenziare le proprie capacità investigative. Gratteri ha evidenziato come le mafie siano in grado di sfruttare le nuove tecnologie per compiere azioni illegali, come il riciclaggio di denaro attraverso banche online create ad hoc.
Gratteri ha anche avvertito sul pericolo che le mafie accumulino sempre più ricchezza, con conseguente impatto sull’economia globale. È quindi fondamentale intensificare gli sforzi nella lotta al crimine organizzato e investire in nuove competenze per contrastare questa nuova forma di criminalità.
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Cronaca Giudiziaria
Scopri i misteri del pentimento di Schiavone, il boss sanguinario.
Perché Sandokan si è pentito?
La decisione di collaborare con la giustizia da parte dell’ex boss dei Casalesi, Sandokan, ha suscitato domande tra gli addetti ai lavori dell’antimafia. I magistrati stanno ascoltando le sue confessioni da circa un mese, ma il motivo preciso del suo pentimento non è ancora chiaro agli occhi del pubblico.
Le ipotesi sul pentimento di Sandokan
Una delle ipotesi riguarda il miglioramento delle condizioni detentive come motivazione principale di Sandokan per collaborare. Potrebbe aver scelto questa strada per ottenere benefici penitenziari e puntare a una possibile liberazione anticipata in futuro.
Un’altra possibile ragione potrebbe essere legata alla sicurezza dei suoi familiari. La moglie Giuseppina Nappa e i sette figli potrebbero aver avuto un ruolo determinante nel suo pentimento, con alcune figlie che si sono già dichiarate disponibili a collaborare con le autorità e ad entrare nel programma di protezione.
La riunificazione familiare potrebbe essere un altro motivo dietro la decisione di Sandokan di pentirsi. Con alcuni figli già in carcere e uno che ha rifiutato di collaborare, la scelta potrebbe essere stata volta a cercare una forma di unità familiare, anche attraverso la collaborazione con la giustizia.
Infine, motivi personali come una diagnosi di tumore nel 2018 potrebbero aver giocato un ruolo nel pentimento di Sandokan. La consapevolezza della sua malattia e la possibile disgregazione del suo clan potrebbero averlo spinto a compiere questa scelta per mandare un messaggio agli ex affiliati e rivali.
Il futuro di Sandokan
Le confessioni di Sandokan potrebbero avere un impatto diretto nella lotta alla criminalità organizzata in Campania. Il destino dell’ex boss dipenderà dalle informazioni che fornirà attraverso la collaborazione e dalla loro importanza per le indagini in corso.
Al momento, le vere ragioni del suo pentimento rimangono avvolte nel mistero. Solo il tempo e lo sviluppo del processo di collaborazione potranno fare chiarezza sui reali motivi che hanno spinto Sandokan a tradire il suo clan.