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Cronaca Giudiziaria

Assolto Luigi Moccia, boss camorra: scagionato dalle accuse

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Assolto Luigi Moccia, boss camorra: scagionato dalle accuse

Inaspettatamente, il boss Luigi Moccia, noto come il papa, è stato assolto nel processo d’appello, ribaltando così la condanna a 20 anni di carcere emessa in primo grado. Al contrario, sono stati confermati i 4 anni di carcere per Filippo Iazzetta, cognato di Moccia, e anche quattro anni per Francesco Favella. Antonio Franzese è stato condannato a 10 anni di carcere. Il ricorso della DDA per Teresa Moccia, Pasquale Puzio e Domenico Aliberti è stato dichiarato inammissibile, confermando così l’assoluzione per loro.

Luigi Moccia è considerato il presunto capo di una famiglia della camorra che ha gestito affari illeciti per decenni, partendo da Afragola e espandendosi fino a Roma. Si sospetta che controlli una parte significativa del traffico di droga riciclando i proventi in negozi di lusso e attività alberghiere. Difeso dagli avvocati Gennaro Lepre e Saverio Senese, Moccia è stato scagionato dalle accuse dopo essere tornato in libertà nel 2016, nonostante la condanna iniziale a 20 anni di carcere. Anche l’imprenditore Domenico Liberti è stato assolto, dimostrando la sua estraneità alle accuse, insieme a Pasquale Puzio, difeso dall’avvocato Annalisa Senese.

Sono emersi dettagli su una rissa tra mamme a scuola e sull’arresto di un rapinatore ad Afragola.
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Latitante tradito dai parenti influencer: arrestato Carabinieri in Spagna per legami con la Camorra.

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Latitante tradito dai parenti influencer: arrestato Carabinieri in Spagna per legami con la Camorra.

La scoperta attraverso i social

La storia di Vincenzo Matacena, 39enne del rione Traiano ricercato per traffico di droga, ha preso una piega inaspettata grazie ai social media. Dopo essere fuggito in Spagna per rifarsi una vita come pizzaiolo a Valencia, Matacena è stato individuato grazie all’analisi dei profili social dei suoi familiari.

Le prove sui social

Una storia Instagram pubblicata da un parente ha svelato la presenza di Matacena in Spagna, mentre altri indizi sono emersi da video condivisi da persone vicine al ricercato. In particolare, un video di “unboxing” ha permesso ai Carabinieri di risalire all’indirizzo di Matacena, mentre altri video lo hanno mostrato insieme alla moglie, al figlio e durante il suo lavoro in pizzeria.

Curiosamente, la maglia del figlio in uno dei video ha rivelato il nome della scuola che frequentava, fornendo ulteriori dettagli utili per l’indagine.

L’arresto e l’attesa dell’estradizione

Grazie alla collaborazione con la Polizia Nazionale Spagnola, Matacena è stato arrestato e attualmente si trova in un carcere spagnolo in attesa di estradizione. La sua fuga e il tentativo di ricominciare una nuova vita sono stati vanificati dalla paziente ricerca condotta attraverso i social media, dimostrando una volta di più il potere e l’importanza di questi strumenti nella lotta alla criminalità.

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Gratteri: mafia in pareggio, lotta ancora in corso

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Gratteri: mafia in pareggio, lotta ancora in corso

La trasformazione della mafia e la necessità di investire in ingegneri informatici

Il procuratore della Repubblica di Napoli, Nicola Gratteri, ha presentato il report della Fondazione Magna Grecia sul cyber crime nella sede Onu di New York, evidenziando la rapida trasformazione della mafia. Secondo Gratteri, le organizzazioni criminali sono in grado di gestire grandi quantità di droga e oro attraverso transazioni online senza spostarsi dai propri luoghi di residenza.

La lotta alla mafia e il ruolo delle forze dell’ordine

Gratteri ha sottolineato l’importanza di investire in giovani ingegneri informatici per contrastare efficacemente la criminalità organizzata. Ha evidenziato che le mafie stanno abbandonando i tradizionali mezzi di estorsione per concentrarsi sul commercio di droga, un settore estremamente redditizio che genera ingenti profitti ogni anno.

Le nuove sfide della lotta al crimine online

L’evoluzione delle mafie verso il cyber crime rappresenta una sfida per le forze dell’ordine, che devono adattarsi e potenziare le proprie capacità investigative. Gratteri ha evidenziato come le mafie siano in grado di sfruttare le nuove tecnologie per compiere azioni illegali, come il riciclaggio di denaro attraverso banche online create ad hoc.

Gratteri ha anche avvertito sul pericolo che le mafie accumulino sempre più ricchezza, con conseguente impatto sull’economia globale. È quindi fondamentale intensificare gli sforzi nella lotta al crimine organizzato e investire in nuove competenze per contrastare questa nuova forma di criminalità.

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Scopri i misteri del pentimento di Schiavone, il boss sanguinario.

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Scopri i misteri del pentimento di Schiavone, il boss sanguinario.

Perché Sandokan si è pentito?

La decisione di collaborare con la giustizia da parte dell’ex boss dei Casalesi, Sandokan, ha suscitato domande tra gli addetti ai lavori dell’antimafia. I magistrati stanno ascoltando le sue confessioni da circa un mese, ma il motivo preciso del suo pentimento non è ancora chiaro agli occhi del pubblico.

Le ipotesi sul pentimento di Sandokan

Una delle ipotesi riguarda il miglioramento delle condizioni detentive come motivazione principale di Sandokan per collaborare. Potrebbe aver scelto questa strada per ottenere benefici penitenziari e puntare a una possibile liberazione anticipata in futuro.

Un’altra possibile ragione potrebbe essere legata alla sicurezza dei suoi familiari. La moglie Giuseppina Nappa e i sette figli potrebbero aver avuto un ruolo determinante nel suo pentimento, con alcune figlie che si sono già dichiarate disponibili a collaborare con le autorità e ad entrare nel programma di protezione.

La riunificazione familiare potrebbe essere un altro motivo dietro la decisione di Sandokan di pentirsi. Con alcuni figli già in carcere e uno che ha rifiutato di collaborare, la scelta potrebbe essere stata volta a cercare una forma di unità familiare, anche attraverso la collaborazione con la giustizia.

Infine, motivi personali come una diagnosi di tumore nel 2018 potrebbero aver giocato un ruolo nel pentimento di Sandokan. La consapevolezza della sua malattia e la possibile disgregazione del suo clan potrebbero averlo spinto a compiere questa scelta per mandare un messaggio agli ex affiliati e rivali.

Il futuro di Sandokan

Le confessioni di Sandokan potrebbero avere un impatto diretto nella lotta alla criminalità organizzata in Campania. Il destino dell’ex boss dipenderà dalle informazioni che fornirà attraverso la collaborazione e dalla loro importanza per le indagini in corso.

Al momento, le vere ragioni del suo pentimento rimangono avvolte nel mistero. Solo il tempo e lo sviluppo del processo di collaborazione potranno fare chiarezza sui reali motivi che hanno spinto Sandokan a tradire il suo clan.

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Nicola Schiavone: Sandokan collabora? Dica la verità.

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Nicola Schiavone: Sandokan collabora? Dica la verità.

Francesco Schiavone collabora? Bene, potrà dire la sua verità, io sto tranquillo

L’imprenditore 70enne Nicola Schiavone ha rassicurato i giornalisti presenti all’aula del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, durante il processo per gli appalti Rfi, in attesa dei verbali del neo pentito Francesco Schiavone.

Schiavone, già processato e assolto nel caso “Spartacus”, si mostra sereno di fronte alla stampa. Le accuse di connivenza con i clan sono state escluse sia dal Riesame che dalla Cassazione, anche durante le fasi investigative di questo processo.

“Non rinnego, ne potrei farlo, l’amicizia che avevamo da bambini. Abitavamo vicini, con genitori agricoltori e porte sempre aperte. Ma per il resto sono tranquillo, sono andato via dal paese più di quarant’anni fa. Ho già affrontato altri processi dimostrando la mia estraneità alle accuse.”, dichiara Schiavone.

La società del 1981 “Scen”, della quale Francesco Schiavone era socio, si è sciolta dopo un solo lavoro a Capri e l’elenco dei soci era stato esaminato dalla prefettura. Schiavone che collabora? È positivo, in molti processi si è parlato di lui e adesso potrà dire la sua versione e contribuire alla verità. “Sono tranquillo.”, afferma Schiavone.

“Il ‘lievito madre’ menzionato da Giuseppina Nappa? Ma fui io stesso a usare quella definizione nel processo Spartacus. Ho esperienza e professionalità accumulata in tanti anni. Mi lascio scivolare il fango addosso, dimostriamo la realtà dei fatti con le carte alla mano.”, sottolinea Schiavone.

Il processo e le testimonianze

Durante il processo, vengono sentiti testimoni della Procura, tra cui un commercialista e un carabiniere. La richiesta di celebrare l’udienza a porte chiuse è stata respinta dal magistrato per garantire il principio di pubblicità stabilito dal codice di procedura penale.

Il processo riprenderà il 15 maggio, con l’interrogatorio di sei collaboratori di giustizia, ma non di Schiavone.

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Assenza verbali di Sandokan nel caso appalti Rfi: assolto.

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Assenza verbali di Sandokan nel caso appalti Rfi: assolto.

Processo a Nicola Schiavone: Sandokan non deposita le dichiarazioni

Nessun deposito di dichiarazioni di Francesco “Sandokan” Schiavone nel processo in corso al tribunale di Santa Maria Capua Vetere, dove è imputato il suo vecchio amico e presunto socio Nicola Schiavone per associazione camorristica.

Attesa per le dichiarazioni di Sandokan

L’attesa era alta per l’udienza di oggi, con la speranza che Sandokan, il pentito boss dei Casalesi, potesse iniziare a collaborare depositando i verbali dei suoi interrogatori. Le sue dichiarazioni potrebbero essere cruciali per fare luce sul ruolo di Nicola Schiavone, considerato uno dei “colletti bianchi” più importanti del clan secondo la DDA.

Il processo riprende a Napoli

Tuttavia, le attese sono state deluse poiché i verbali di Sandokan non sono stati depositati. Il prossimo step del processo è previsto per il 22 aprile a Napoli, durante il secondo troncone del processo sugli appalti Rfi. Qui potrebbero essere consegnati i dettagli che il pentito ha rivelato agli inquirenti.

Richiesta respinta di celebrare il processo a porte chiuse

In giornata, la difesa di Nicola Schiavone ha chiesto di celebrare il processo a porte chiuse per evitare l’eccessiva attenzione mediatica che potrebbe ledere la privacy degli imputati. La richiesta è stata respinta dal giudice.

Le accuse contro Nicola Schiavone

Nicola Schiavone è accusato di essere affiliato al clan dei Casalesi, di intestazione fittizia di beni, turbativa d’asta, corruzione, riciclaggio con l’aggravante della metodologia mafiosa e rivelazione di atti coperti dal segreto delle indagini. In passato, è stato assolto da questa accusa, mentre suo fratello Vincenzo è stato condannato a due anni nel maxi-processo ai Casalesi Spartacus.

Il ruolo di Sandokan nelle prossime udienze

Nelle prossime udienze, i magistrati potrebbero chiamare Sandokan a testimoniare per chiarire il ruolo di Nicola Schiavone all’interno del clan. Le sue dichiarazioni potrebbero essere decisive per l’esito del processo.

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Sandokan, al processo Rfi: primo giorno da pentito

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Scopri i misteri del pentimento di Schiavone, il boss sanguinario.

Cresce l’attesa per l’udienza di oggi al tribunale di Santa Maria Capua Vetere relativa al processo sugli appalti Rfi assegnati a ditte colluse con il clan dei Casalesi. Potrebbero essere depositate le prime dichiarazioni del pentito Francesco “Sandokan” Schiavone, boss storico del clan che ha deciso di collaborare con la giustizia. Le sue rivelazioni saranno cruciali per confermare le accuse mosse dalla Dda e per ricostruire il sistema di corruzione e collusione del clan per decenni.

Omicidi, rifiuti, appalti e politica

Si prevedono ammissioni su omicidi, traffico di rifiuti illegali, controllo su cemento, appalti pubblici e collusioni con la politica. Sandokan potrebbe dissipare dubbi sulla sua collaborazione rispetto ad altri pentiti di alto calibro come Antonio Iovine o suo figlio Nicola Schiavone.

La cassaforte del clan e il ruolo di Nicola Schiavone

Nel processo sugli appalti Rfi è imputato Nicola Schiavone, amico di Sandokan e considerato il “colletto bianco” del clan. È accusato di fare da prestanome per il padrino e di mantenere contatti ad alto livello politico ed istituzionale per conto del clan.

Le aspettative del Comitato don Diana

Salvatore Cuoci del Comitato don Diana si aspetta che Sandokan riveli informazioni cruciali, come la localizzazione dei rifiuti interrati illegalmente, i mandanti degli omicidi irrisolti e i politici collusi con il clan. Queste informazioni sono fondamentali per bonificare le aree inquinate e portare alla luce la verità per le famiglie delle vittime.

Un potenziale punto di svolta nella lotta al clan dei Casalesi

Le dichiarazioni di Sandokan potrebbero rappresentare una svolta nella lotta contro il clan dei Casalesi, uno dei più potenti e sanguinosi in Italia. Le sue rivelazioni potrebbero finalmente far luce su tanti crimini irrisolti e portare alla giustizia esponenti di spicco del clan e i loro complici.

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Lettera di Augusto La Torre a Sandokan: “Svela la verità, pentito a metà”

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Lettera di Augusto La Torre a Sandokan: “Svela la verità, pentito a metà”

L’ex boss del clan La Torre di Mondragone, Augusto La Torre, 62 anni, ha scritto una lettera di tre pagine inviata recentemente tra gli altri al suo avvocato Antonio Miraglia Latorre e al nuovo pentito Francesco Schiavone Sandokan. La Torre, che ha una laurea in Psicologia ed è titolare di vari corsi di laurea e master in criminologia, è stato precedentemente definito un “pentito a metà” per aver ritrattato la sua versione dei fatti in diverse occasioni, in particolare durante il processo per la strage di Pescopagano avvenuta nell’aprile del 1990. La notizia è stata riportata dall’edizione di Caserta del Mattino.

La Torre, tra k’altro si chiede anche se saranno rivelati da Schiavone “intrecci con la politica, la gestione della camorra in diversi comuni dell’agro Aversano (richiamando qui nomi di altri collaboratori come Carmine Schiavone, De Simone, Quadrano, Iovine); se Sandokan svelerà i retroscena di un duplice omicidio di due uomini di colore uccisi per sbaglio di fronte all’Hotel Scalzone a Castel Volturno; se dirà la verità che lui conosce sull’uccisione di Enzo De Falco; se smentirà quanto affermato da suo cugino Carmine sul delitto di don Diana; se rilascerà dichiarazioni sugli affari gestiti con gli stessi suoi stretti parenti e, ancora, se smentirà i pentiti che hanno dichiarato il falso. Oppure resterà in silenzio?”. E aggiunge: “Personalmente, conoscendo ‘compare Ciccio’ dal 1983-1984, spero possa chiudere la sua storia da uomo, e che quindi abbia il coraggio e l’onestà intellettuale di dire solo la verità che è in sua conoscenza diretta, senza spaventarsi di nulla e senza conformarsi all’altrui volontà o finire in un tritacarne”.

E poi conclude: “Anche se il mio pensiero ha pochissimo valore, ma ha pari dignità di quello di altri conclude ritengo che se Sandokan conserverà la sua autonomia di pensiero e il suo carattere, molti processi dovranno essere rivisti e molte condanne di innocenti dovranno essere annullate”. Oggi è detenuto a Padova nel Polo universitario, La Torre è stato un importante membro del clan dei Casalesi. Tra il 2003 e il 2020, ha ricevuto 38 sentenze che lo hanno riconosciuto come collaboratore di giustizia dai tribunali di Napoli, Roma e Salerno, senza mai ricevere una condanna all’ergastolo ma con limitati benefici legali.

Questo situazione lo ha spinto a fare uno sciopero della fame lo scorso novembre, interrotto solo dopo aver perso 15 chili e subito dopo un malore che ha richiesto il suo ricovero.
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Figlio del boss Gallo di Torre Annunziata condannato a 15 anni per tentato omicidio dello zio

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Figlio del boss Gallo di Torre Annunziata condannato a 15 anni per tentato omicidio dello zio

Al processo di secondo grado per Raffaele Gallo, figlio del boss Francesco ‘o pisiello, è avvenuto un colpo di scena: il giovane è stato condannato a 15 anni di carcere per tentato omicidio. Gallo aveva erroneamente ferito un amico anziché il vero obiettivo, suo zio, per punire sua madre che aveva una relazione con un altro uomo mentre il marito era in carcere. Anche il suo complice, Vincenzo Falanga, conosciuto come ‘o gemello, è stato condannato a 13 anni. Entrambi sono legati al clan Gallo-Cavalieri di Torre Annunziata. Il verdetto è il risultato di un processo durato anni che ha visto ribaltare la sentenza di primo grado che aveva assolto i due imputati.

Nell’ottobre del 2018 i giudici di primo grado a Torre Annunziata avevano assolto i due imputati nonostante la procura avesse chiesto 13 anni di carcere. Secondo l’accusa, la sera del 27 gennaio del 2017, Gallo e Falanga tentarono di uccidere Salvatore Iovane, zio materno di Gallo, ma finirono per ridurre in fin di vita l’incensurato Vittorio Nappi che si trovava con lui. Il motivo dell’agguato era una vendetta nei confronti della famiglia della madre che aveva lasciato il padre in carcere e aveva avviato una relazione con il figlio dello spietato killer dei Gionta, Umberto Onda, acerrimo rivale del suo ex marito.
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Padre Patriciello e Francesco Schiavone: svelano verità.

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Padre Patriciello e Francesco Schiavone: svelano verità.

A ‘Sandokan’ Schiavone, il prete anti-camorra di Caivano don Maurizio Patriciello direbbe: “Indietro non si torna. Puoi chiedere perdono solo a Dio, che è morto in croce anche per te, e chiedere perdono a questo popolo a cui hai fatto tanto male”. Parlando con Repubblica, aggiunge: “Io sono un prete e parlo da prete. Ma dal punto di vista storico, nessuna clemenza. La storia deve essere spietata, come è stato spietato il loro clan. Bisogna dire e raccontare ai posteri quello che è successo nei nostri territori, alla nostra gente, quello che noi abbiamo subito. Quanti funerali ho fatto a bambini, giovani mamme, giovani papà”.

Continua dicendo che Schiavone potrebbe restituire tutti i soldi guadagnati con la violenza e la paura e che sicuramente sa dove sono occultati. Potrebbe anche raccontare tutto sui colletti bianchi che li hanno protetti. Ricorda un incontro con il cugino, Carmine Schiavone, che disse: “Senza la protezione dei colletti bianchi e della politica saremmo rimasti solo una banda di piccoli delinquenti di paese”.

Se potesse incontrare Sandokan, direbbe: “Ormai sei arrivato a 70 anni, sei entrato in un carcere a 44 anni e per 26 anni hai trascorso il tuo tempo in una piccola cella. Devi avere il coraggio di dire: io ho fallito tutto nella mia vita”. Aggiunge che questa potrebbe essere una mossa scaltra, ma che il Signore tocca il profondo del nostro cuore e si augura che possa passare da collaboratore di giustizia a un uomo veramente pentito davanti a Dio e agli uomini.

Nei giorni scorsi in una nota apparsa sul giornale cattolico L’Avvenire, padre Maurizio Patriciello aveva scritto: Non sono mai riuscito a capacitarmi come tu – persona intelligente – abbia mai potuto credere di vivere serenamente, insieme a chi ami in questo mondo, seminando terrore e morte intorno a te. Non mi sono mai rassegnato a guardare a voi camorristi come a esseri usciti dall’inferno, anche se le vostre azioni, crudeli, stupide, spietate, lo facevano pensare.

Possibile che per sete di denaro e di effimero potere sono disposte a rinunciare al calore della famiglia, alla gioia di educare i figli, a una passeggiata in campagna – le nostre meravigliose campagne! -, a una vacanza al mare? Francesco – lascia che ti chiami con questo nome tanto caro agli italiani e non con quello di Sandokan con cui sei conosciuto – sono un confratello di don Peppe Diana, il martire, trucidato dalla camorra 30 anni or sono.

No, non m’interessa, nello specifico, chi e perché ne decretò la morte, so solo che fu ammazzato da chi credette di dichiarare guerra allo Stato e alla povera gente. Per la verità a scandalizzarmi non è il fatto che a morire fosse un prete, ma che fosse un uomo, e per di più innocente. L’altro giorno, insieme a don Luigi Ciotti e a un gruppo di amici, ci siamo recati, nel cimitero di Casale, a deporre un fiore sulle tombe delle vittime innocenti.

Dio mio, erano tante. Oso sperare – e per questo prego, insieme alla mia comunità parrocchiale – oso sperare, dicevo, che tu possa approfittare di questo momento prezioso che stai vivendo e che da collaboratore, tu possa pentirti davvero davanti a Dio e alla società. Indietro non si può tornare, è vero, ma avanti si può e si deve guardare. E avanti, prima o poi c’è lei, la morte, che può venirci incontro come un’amica dal volto buono o una megera con le grinfie affilate. Tra coloro cui hai fatto più male ci sono i tuoi figli, il buon popolo di Casale, le vittime innocenti, i morti di cancro – soprattutto i bambini… quanti… quanti … – per lo scempio degli versamenti tossici. Sai? Una decina di anni fa volli incontrare tuo cugino, Carmine Schiavone. Anche a lui scrissi una lettera aperta, avevo bisogno di vederlo, chiedergli informazioni sul traffico dei veleni interrati, grazie a voi, nelle nostre campagne. Rimasi fortemente meravigliato quando davanti a me si presentò un uomo anziano, con i capelli bianchi, piccolo di statura, un nonnino dal volto anonimo.

“Francesco prendi coraggio e raccontati tutto quello che sai” Per quasi quattro ore tenne la sua mano sul mio braccio mentre raccontava, la stessa mano che aveva ucciso tante persone. Mistero della vita. Come ha fatto ad affascinarvi il male? Mi disse: « Don Maurizio, ricordati che senza gli agganci con la politica, noi camorristi saremmo rimasti solo una banda di piccoli delinquenti di paese». Quelle parole non le ho mai dimenticate, anche se non mi erano nuove. Adesso tocca a te, Francesco, prendi il coraggio a due mani e raccontaci tutto quel che sai.

Immagino che già tanta gente, tanti colletti bianchi, stanno tremando. Aiutaci a estirpare la maledetta zizzania alla radice. Non aver paura. Sii forte. Sii uomo. La lettera che scrissi a tuo cugino terminava con un “Ti benedico”. Mi disse: «Sei stato l’unico a benedirmi, gli altri mi hanno sempre e solo maldetto»,« Ci credo, Carmine – risposi – l’avete combinata veramente grossa».

Per quanto possa sembrarti strano, credi che anche tu sei amato da Dio. Che anche per te Gesù Cristo è morto. Apri il tuo cuore a lui. Non aver vergogna. Dagli la possibilità di raggiungerti e di perdonarti. E anche per te sarà finalmente Pasqua. Ti benedico, Francesco. Padre Maurizio Patriciello”.
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Sandokan si presenta come pentito al processo Rfi il 3 aprile: il debutto pubblico.

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Scopri i misteri del pentimento di Schiavone, il boss sanguinario.

Il debutto pubblico di Francesco Schiavone come collaboratore di giustizia potrebbe avvenire molto presto, addirittura tra 4 giorni. Sandokan potrebbe testimoniare il 3 aprile prossimo nel processo ai funzionari di Rete Ferroviaria Italiana accusati di collusione con il clan. Le sue dichiarazioni potrebbero incastrare Nicola Schiavone, storico prestanome del boss, e individuare la “cassaforte” dei Casalesi, avendo un impatto significativo su uno dei più recenti e cruciali processi riguardanti il coinvolgimento dei colletti bianchi del clan.

Si tratta del processo contro funzionari di Rete Ferroviaria Italiana (RFI) accusati di favorire ditte colluse in cambio di denaro e regali. Il processo, nato dalle indagini della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, ha portato a 35 arresti nel maggio del 2022 e coinvolge complessivamente 69 indagati per gravi reati, tra cui associazione camorristica, estorsione, corruzione e riciclaggio.

Anche se non è direttamente coinvolto come imputato, la collaborazione di Schiavone potrebbe influenzare il caso, soprattutto per quanto riguarda il ruolo del 70enne Nicola Schiavone, considerato il suo storico prestanome. Nicola Schiavone è tra gli imputati per associazione camorristica in un processo che ha preso avvio nel dicembre scorso al tribunale di Santa Maria Capua Vetere.

La prossima udienza del processo è prevista per il 3 aprile, e si attendono sviluppi significativi, inclusi i primi contributi di Schiavone come collaboratore di giustizia, che potrebbero essere cruciali per incriminare Nicola Schiavone e, forse, individuare il tesoro nascosto dei Casalesi.

Nicola Schiavone, amico di lunga data di Sandokan, è stato sempre considerato un elemento chiave nella rete di relazioni del clan, sebbene non abbia mai subito condanne significative. Tuttavia, la sua presunta connessione con il mondo criminale è stata oggetto di indagini e processi nel corso degli anni. Mentre alcuni imputati nel processo RFI hanno già ricevuto condanne, il destino di Nicola Schiavone rimane incerto. La collaborazione di Sandokan potrebbe ora modificare radicalmente la dinamica del processo, aprendo nuove prospettive e gettando luce su vecchi misteri.
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