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Cronaca

A Pianura, la giustizia ferma i clan rivali con condanne totali vicine a un secolo di carcere

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A Pianura, la giustizia ferma i clan rivali con condanne totali vicine a un secolo di carcere

La faida giovanile di Pianura: nove giovani condannati in una guerra sotterranea #Napoli #Camorra

Immaginate una sera d’inverno nel cuore di Pianura, un quartiere di Napoli dove le strade strette e affollate sussurrano storie di sogni infranti e lotte infinite. Ieri, in un’aula di tribunale illuminata da luci fredde, si è consumato un capitolo drammatico di questa saga: nove giovani, alcuni appena usciti dall’adolescenza, hanno ascoltato le loro condanne, segnando un altro colpo nella battaglia contro i clan che tengono in ostaggio la comunità locale.

Per mesi, queste figure emergenti hanno alimentato un clima di tensione palpabile, con atti di violenza e traffici illeciti che trasformavano le piazze del quartiere in zone di guerra sotterranea. Il giudice per le indagini preliminari, De Bellis, ha chiuso il rito abbreviato con sentenze severe, rivolte a imputati legati a due gruppi rivali: da una parte il clan Calone-Esposito-Marsicano, dall’altra il sodalizio Carillo-Perfetto-Cuffaro. È una storia che si ripete, un conflitto che da anni intesse la vita quotidiana di Pianura, dove ambizioni giovanili si scontrano con la crudeltà del crimine organizzato.

Questi giovani, spesso poco più che maggiorenni, aspirano a dominare le vie con armi e droghe, creando un’atmosfera di paura che filtra nelle case e nelle scuole. È un contesto urbano segnato da un equilibrio precario, dove ogni giorno la comunità vive con l’ombra di agguati e intimidazioni. “Coerente con la pericolosità del contesto”, come hanno sottolineato fonti giudiziarie, riflettendo su strutture criminali piramidali che vedono questi ragazzi gestire con aggressività risorse illegali, quasi come un’eredità avvelenata.

Tra le pene più pesanti, Antonio Campagna si è visto infliggere 16 anni di reclusione, un colpo duro per chi era visto come un vertice del fronte Perfetto-Cuffaro. Subito dopo, Emanuele Marsicano ha ricevuto 12 anni e 4 mesi, etichettato dagli investigatori come l’erede designato del gruppo Marsicano, noto per le sue tattiche spregiudicate. Queste sentenze non sono solo numeri; raccontano di vite intrecciate in un ciclo di violenza che ha radici profonde, come l’omicidio di Antonio Gaetano – detto “Biscotto” – un ventenne già reggente di un clan, ucciso nel 2023, un evento che ha alimentato ulteriormente le tensioni.

Un quartiere in bilico tra tregua e conflitto

Pianura non è solo un punto su una mappa: è un tessuto sociale logorato da oltre un decennio di scontri tra questi blocchi criminali, dove i protagonisti sono spesso under-ventenni che scivolano in ruoli da cui è difficile uscire. Questo processo è un tassello di un mosaico più ampio, frutto di indagini meticolose della Sezione Criminalità Organizzata, con intercettazioni e pedinamenti che hanno svelato un sistema di droga e armi ben oliato. Si parla di fucili, pistole calibro 45, hashish e persino estorsioni sotto forma di “tassazione criminale” per il controllo delle piazze di spaccio, culminate in azioni intimidatorie come una stesa in via Padula.

Gli inquirenti delineano strutture distinte ma intrecciate: nel fronte Carillo-Perfetto-Cuffaro, Patrizio Cuffaro emerge come figura chiave, supportato da nomi come Roberto Allocca, Beniamino Ambra e Antonio Campagna, tutti accusati di traffico con metodi mafiosi. Sul versante opposto, Emanuele Marsicano e i suoi, come Gennaro Gaetano e Luca Improta, gestivano armi e spaccio in concorrenza diretta. È una dinamica che non fa solo notizia; è un riflesso delle pressioni sociali che spingono giovani verso percorsi pericolosi, alimentando una deriva che colpisce al cuore il territorio.

In questo scenario, la magistratura manda un segnale chiaro: l’età non è una scusa per l’impunità. È una riflessione naturale, considerando come queste nuove leve criminali adottino regole più imprevedibili, rischiando di scatenare ondate di violenza ancora più devastanti. Le condanne, dunque, non sono solo giustizia; sono un monito per una comunità che aspira a spezzare questo ciclo, guardando al futuro con una speranza cauta ma reale.

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