Cronaca
Scompare Willy David, il cuore discreto del Neapolitan Power: una perdita silenziosa per Napoli e la sua anima culturale.
Addio a Willy David, l’architetto invisibile del Neapolitan Power che ha fatto ballare il mondo #NapoliMusica #EreditàItaliana
In una Napoli che sa custodire i suoi tesori culturali come pochi altri luoghi al mondo, la scomparsa di Willy David a 77 anni ci lascia un vuoto che risuona nelle strade affollate di Mergellina e nei vicoli di Sanità, dove il suo suono meticcio ha infuso vita e ritmo alla nostra identità. Come cronista del territorio, cresciuto con le note di quei dischi che echeggiavano dalle radio dei baretti, non posso fare a meno di riflettere su come David fosse più di un produttore: era un ponte silenzioso tra la tradizione partenopea e le correnti globali, un artigiano che ha plasmato l’anima della nostra musica senza mai cercare i riflettori.
David, quel pilastro discreto del Neapolitan Power che portò Napoli al centro della scena internazionale tra la fine degli anni ’70 e i primi ’80, ha lasciato un’impronta indelebile sui dischi che ancora oggi definiscono il nostro orgoglio locale. Pensate a come, con la sua etichetta Costa Est, abbia saputo fondere blues, funk, jazz e quelle radici mediterranee che parlano della nostra terra: un mix vitale e autentico, specchio di una Napoli ibrida, fatta di incroci culturali nei mercati e nei porti. Da “Pino Daniele” (1979) a “Nero a metà” (1980), da “Vai mo’” (1981) a “Bella ’mbriana” (1982) fino a “Musicante” (1984), egli non ha solo prodotto; ha amplificato la voce di Pino Daniele, rendendo quei lavori un manifesto della nostra resistenza creativa contro i cliché folcloristici. Eppure, da locale a locale, mi chiedo: quanti oggi ricordano quanto David abbia contribuito a questa alchimia, evitando di ridurla a semplice nostalgia?
Non era solo il partenopeo doc a beneficiarne. Come talent scout determinato e riservato, David collaborò con altri giganti del Neapolitan Power, da Enzo Avitabile a Tullio De Piscopo, Nino Buonocore e Tony Esposito, dando forma a hit che sono diventate il battito del nostro quotidiano: “Kalimba de luna”, “Andamento lento” o “Soul Express”, tracce che ancora oggi riecheggiano nelle feste di strada o nei concerti estivi al lungomare. Ma qui, nel tessuto vivo di Napoli, dove la musica è un collante sociale, la sua influenza si sente come un’eco critica: ha dimostrato come le nostre tradizioni possano ibridarsi con il mondo senza perdere identità, un messaggio attuale in una città che lotta contro il turismo di massa e la gentrificazione, preservando il suo spirito autentico.
Eppure, il suo impatto non si fermò ai confini locali. Collaborando con icone nazionali come Lucio Battisti, Gino Paoli, Gianna Nannini e Andrea Mingardi, David dimostrò una sensibilità unica nel tessere sonorità diverse, guadagnandosi rispetto trasversale. Da un punto di vista locale, però, questo espande la riflessione: mentre Napoli celebrava il suo rinascimento musicale, David ci ricordava che il vero potere sta nella discrezione, nel preferire il lavoro dietro le quinte piuttosto che la fama effimera. In un’epoca dove i social amplificano ogni nota, la sua eredità ci interroga: quanto della nostra musica odierna perde quell’autenticità che lui aveva colto, quel legame profondo con il territorio?
Con la dipartita di Willy David, la musica italiana – e soprattutto quella napoletana – perde non solo un produttore, ma un visionario che ha dato voce a un’era indimenticabile. Qui, tra le nostre strade piene di storie, il suo silenzio ci spinge a un esame critico: come onorare chi, senza clamore, ha reso la nostra cultura un faro internazionale? La risposta risiede nelle note che continuano a riecheggiare, un tributo vivo e necessario.
