Cronaca
Poggioreale, il carcere in crisi: il report di Ilaria Salis rivela celle con 12 detenuti e topi, un’altra segnalazione allarmistica per il territorio.
#PoggiorealeInCrollo: Le celle affollate e il grido di aiuto da Napoli, un inferno che ignora la dignità umana
A Napoli, dove il caos cittadino è già una sfida quotidiana, il carcere di Poggioreale rappresenta un fallimento silenzioso del sistema, un luogo dove la detenzione non è più una misura di giustizia, ma una ferita aperta alla coscienza collettiva. Come cronista locale, che ha visto questa città lottare contro le sue piaghe sociali, non posso ignorare come questa ispezione non sia solo un report, ma un specchio delle disuguaglianze che avvelenano il nostro territorio. L’eurodeputata Ilaria Salis, con la sua visita di questa mattina, ha squarciato il velo su un collasso penitenziario che va ben oltre i freddi numeri, toccando il cuore della dignità umana calpestata ogni giorno.
Il problema non si ferma ai dati ufficiali: Poggioreale, il più grande carcere del Sud, è un esempio lampante di come la politica carceraria in Italia – e specie qui al Mezzogiorno – sia crollata sotto il peso di una miopia istituzionale. Con una capienza prevista per soli 1.313 detenuti, la struttura ne ospita attualmente 2.185, trasformando ogni cella in un inferno sovraffollato. Questa sproporzione non è solo un’anomalia burocratica; è un attacco alla riabilitazione, quel principio costituzionale che qui sembra un miraggio. Immaginatevi, se potete, la vita in questi spazi: i detenuti ammassati in letti a castello a tre livelli, una pratica che, nonostante sia vietata formalmente, è diventata la norma per l’emergenza. Come sottolinea Salerno, “In alcune celle vivono fino a 12 persone”, violando sistematicamente gli standard europei che richiedono almeno 3 metri quadri a testa. È un’umiliazione che, da napoletano, mi fa riflettere su come il nostro sistema punisca non solo i reati, ma anche la speranza di un reinserimento sociale.
Non basta il sovraffollamento; il degrado strutturale completa il quadro di un carcere allo sfascio. Le ispezioni hanno rivelato pareti ricoperte di muffa, acqua calda scarsa e, con l’inverno che avanza, un riscaldamento che non funziona. Aggiungete i topi che scorrazzano nelle sezioni, e avrete un’immagine di igiene che rasenta l’incubo. Questa situazione, denunciata con forza da chi vive queste condizioni, è un’eco delle storie che sento ogni giorno per le strade di Napoli: persone che entrano in carcere e ne usciranno spezzate. Come puntualizza l’eurodeputata, “Le persone detenute lamentano, con piena ragione, condizioni di vita disumane”, trasformando una pena in una tortura che erode non solo il corpo, ma l’anima. È un degrado che, nel contesto locale, amplifica le disuguaglianze del Sud, dove le risorse scarseggiano e l’assistenza è un lusso.
La critica si estende al paradosso delle pene brevi e alla cronica carenza di personale, aspetti che, da chi osserva da vicino le dinamiche napoletane, appaiono come un circolo vizioso senza fine. Tra i 1.066 detenuti con condanne definitive, oltre 560 stanno scontando pene inferiori ai quattro anni, per i quali sarebbero disponibili misure alternative. Eppure, rimangono intrappolati per motivi burocratici che sembrano inconcepibili in una città che già lotta contro la burocrazia asfissiante. A gestire questa bomba sociale c’è un organico sottodimensionato: solo 20 educatori per più di 2.000 persone, un rapporto di uno ogni 200 che rende impossibile qualsiasi percorso di reinserimento. Come giornalista locale, mi domando come possiamo parlare di riabilitazione in un contesto dove l’educazione è ridotta a una parola vuota, alimentando così il ciclo di marginalità che affligge il nostro territorio.
Anche se va riconosciuto l’impegno del Ser.D. (Servizi per le Dipendenze), che opera sotto un carico insostenibile, l’intera situazione grida per un intervento radicale. È qui che emerge la frustrazione più profonda: “L’urgenza è chiara a chiunque operi nel sistema penitenziario, ma purtroppo non è altrettanto diffusa nella politica e certamente non nell’attuale Governo”. Come napoletano coinvolto, vedo questo come un mancato appello alla responsabilità, dove le soluzioni non richiedono nuove costruzioni, ma l’applicazione delle leggi esistenti per alleggerire le carceri. Serve un approccio deflattivo immediato, per restituire legalità a un’istituzione che dovrebbe essere un pilastro di giustizia, ma che oggi sembra un relitto del nostro passato. Napoli merita di meglio: non solo per i detenuti, ma per l’intera comunità, che vede in questi fallimenti un riflesso delle sue ferite irrisolte.
