Seguici sui Social

Cronaca

Nel nostro territorio, la camorra colpisce Report: il sinistro tentativo di zittire le inchieste. (72 caratteri)

Pubblicato

il

Nel nostro territorio, la camorra colpisce Report: il sinistro tentativo di zittire le inchieste. (72 caratteri)

#BombaAvvertimentoARanucci: Da Roma ai clan campani, un’inchiesta che fa tremare i territori #Report #Camorra #IndaginiLocali

Nei meandri di Roma, dove le storie di routine si intrecciano con ombre sinistre, un semplice gesto come quello di una bomba artigianale davanti a una porta di casa diventa il simbolo di una rete criminale che va ben oltre i confini locali. È il segnale che un’inchiesta giornalistica, partita da un reportage sui traffici illeciti, ha toccato nervi scoperti, collegando i sobborghi della Capitale ai clan della Campania e ai cantieri del Nord.

Come cronista di queste parti, conosco bene quanto Roma sia un crocevia di influenze: da un lato, le indagini che partono dal Nucleo Investigativo dei Carabinieri, dall’altro, i fili che si tendono verso territori distanti ma connessi. Tutto è iniziato con un ordigno rudimentale, contenente un chilo di polvere pirica, posizionato come un avvertimento diretto al volto noto di Sigfrido Ranucci, il conduttore di Report. Pochi giorni dopo, una lettera anonima è arrivata in redazione, tracciando un percorso inquietante da un attacco a Pomezia fino alle ramificazioni della camorra e ai cantieri navali veneti. Questa corrispondenza, ora al centro delle attenzioni della Procura, non fa che confermare quanto le storie locali siano sempre più globali, e pericolose.

Il pubblico ministero Carlo Villani ha recentemente convocato due figure chiave come “persone informate sui fatti”, ovvero l’inviato di Rai3 Daniele Autieri e l’ex amministratore delegato dei Cantieri Navali Vittoria (Cnv) di Adria, Francescomaria Tuccillo. Da queste interrogazioni emerge un quadro che, come un mosaico incompleto, rivela i contorni di un presunto traffico internazionale di armi. Report aveva già sollevato il velo in un servizio trasmesso il 24 settembre, ipotizzando connessioni tra reperti scoperti nei cantieri e ambienti criminali. Qui, da un cronista del territorio, non posso fare a meno di riflettere: è frustrante vedere come inchieste del genere, nate per esporre verità, finiscano per attirare minacce, confermando la pervasività della criminalità organizzata nei nostri affari quotidiani.

La lettera anonima, come emerso dalle indagini, lega esplicitamente l’agguato a Ranucci a quegli “ambienti criminali” radicati in Campania. Il reportage di Autieri aveva portato alla luce una scoperta allarmistica: nei cantieri di Adria, alcuni lavoratori avevano rinvenuto cassette di legno con mitragliatrici non dichiarate. Queste armi erano legate a due motovedette destinate all’Oman, ma che, secondo l’inchiesta, erano state consegnate senza i fucili, lasciando un “buco” nel carico – un vuoto che sa di prova indiretta di operazioni illegali. Come qualcuno che vive queste dinamiche, mi chiedo quanto ancora dovremo tollerare che traffici del genere infanghino la reputazione di regioni come il Veneto, spesso dipinte come industriose, ma esposte a infiltrazioni da Sud.

A complicare il tutto, c’è l’intreccio con la criminalità organizzata. Le verifiche giornalistiche puntano il dito su un’azienda di Caserta, Arkipiù, che avrebbe finanziato parte dei 8,2 milioni di euro per il passaggio di proprietà dei Cnv da Roberto Cavazzana alla famiglia Duò. Questo deal aveva già allarmato il governo tanto da attivare il Golden Power, un campanello d’allarme che noi locali interpretiamo come un segnale di quanto la camorra, attraverso i Casalesi, si sia espansa. Tra gli ex soci di Arkipiù, infatti, figura chi ha avuto rapporti con Luigi Russo, condannato per concorso esterno con il clan dei Casalesi, guidato dal boss Giuseppe Setola, ergastolano per la strage di Castel Volturno. È un legame che, dal mio punto di vista, non fa che rafforzare la critica a un sistema dove il denaro sporco scivola da una regione all’altra, erodendo fiducia e sicurezza.

E poi ci sono le dimissioni sospette di Tuccillo, che aggiungono un tocco di dramma a questa saga. Il 17 ottobre, proprio dopo l’attentato, ha ricevuto una comunicazione via PEC che lo invitava a lasciare l’azienda, con le dimissioni formalizzate il 10 novembre. Ma è la sua testimonianza a Report che risuona come un presagio: “Di casi insoliti ne sono successi diversi”, ha confidato, e tra questi: “Tra questi il fatto che a inizio mandato mi veniva consigliato di non restare mai a dormire ad Adria”. Queste parole, oggi, pesano come macigni, evidenziando come le minacce non siano confinate a un luogo, ma siano il frutto di una rete che si estende. Da giornalista locale, mi sento di commentare che storie del genere non sono solo fatti di cronaca: sono un richiamo all’azione, un invito a riflettere su come il tessuto sociale delle nostre comunità sia minacciato da interessi oscuri che vanno arginati.

In fondo, questo episodio ci ricorda che dietro ogni inchiesta c’è un prezzo, e per Roma e i territori limitrofi, significa confrontarsi con realtà che intrecciano economia, crimine e giornalismo. È un ciclo che, se non spezzato, continuerà a proiettare ombre su un futuro che merita più luce.

Fonte

Questo sito web non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità.
Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n° 62 del 7.03.2001.
Alcuni contenuti sono generati attraverso una combinazione di una tecnologia proprietaria di IA e la creatività di autori indipendenti.
Per contatti [email protected]