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Cronaca

La camorra napoletana avanza: l’ascesa di ‘o Baffone e il rafforzamento dei clan Licciardi, un’ombra che non si dissolve.

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La camorra napoletana avanza: l’ascesa di ‘o Baffone e il rafforzamento dei clan Licciardi, un’ombra che non si dissolve.

#CamorraModerna: I Licciardi e il business invisibile delle scommesse online a Napoli

Napoli non smette di sorprendere con le sue storie di eredità criminali che si intrecciano con il mondo digitale, mostrando come l’antica camorra si sia adattata ai tempi moderni senza perdere il suo tocco intimidatorio. Prendete Gennaro Licciardi, soprannominato ‘o Baffone, un 35enne che ha ereditato l’impero del padre Vincenzo “’o Chiatto”, un pilastro dell’Alleanza di Secondigliano. Qui, nel cuore del Nord Napoli, i cognomi come il suo non sono solo nomi: sono chiavi che aprono porte, impongono regole e mantengono il silenzio, spesso senza spargimenti di sangue.

Come cronista locale, cresciuto tra queste strade, non posso fare a meno di riflettere su quanto questa evoluzione sia un doppio taglio per la nostra comunità. L’ordinanza cautelare di 461 pagine firmata dal gip Isabella Isaelli ha portato dietro le sbarre 44 persone, tra capi e gregari dei clan Russo di Nola e Licciardi della Masseria Cardone, smantellando una rete di scommesse online clandestine che andava ben oltre il gioco illegale. È un quadro che dipinge la camorra di oggi: meno violenza per le strade e più operazioni digitali, dove i server sostituiscono le armi e le “skin” vendute alle agenzie prendono il posto del pizzo tradizionale. Ma è davvero un progresso? O solo un modo più sofisticato per perpetuare il controllo?

Questa alleanza tra i Licciardi e i Russo si estende dalle campagne di Nola ai quartieri affollati di Napoli, infiltrandosi nel mercato delle scommesse grazie a piattaforme .com operate da server esteri e una fitta rete di agenzie di facciata. Il nuovo business dei Licciardi: scommesse, piattaforme .com e soldi che non finiscono mai. Sembra quasi una startup innovativa, se non fosse per il fatto che si basa su attività fantasma, punti gioco mascherati e una protezione garantita dal peso dei clan. Secondo le indagini, Gennaro Licciardi, insieme allo zio Antonio e agli alleati storici come i Carella, i Russo e i Fabbrocino, orchestrava un sistema che eludeva l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (ADM), il fisco e le norme antiriciclaggio, generando un flusso continuo di guadagni da migliaia di scommesse giornaliere.

Le piattaforme in questione – goodbet.com, planet365.me, mybet24.com – hanno un’aria professionale, quasi internazionale, ma la realtà è un business opaco, privo di controlli. E qui, da locale che conosce il territorio, mi chiedo: come possiamo combattere questo se le nostre comunità sono intrappolate in un’economia parallela che offre lavoro e soldi facili? La rete dei “figli di”: l’impero dei rampolli. I magistrati descrivono più di dieci associati, ma è evidente che si tratta della nuova generazione dei clan, figli e nipoti cresciuti all’ombra dei padri, pronti a gestire affari invece che guerre. Gennaro Licciardi ‘o Baffone emerge come il fulcro: impartiva ordini, pianificava strategie, gestiva relazioni con le agenzie e garantiva la “protezione” mafiosa, trasformando debiti in obblighi inesorabili.

Al vertice di questa struttura, troviamo Gennaro e Antonio Licciardi, affiancati dai fratelli Luigi e Francesco Pio Carella, che definivano le linee guida, distribuivano risorse e monitoravano i flussi finanziari. I vertici. Poi c’è il livello operativo: Endri Alla e Mario Maiello come responsabili tecnici delle piattaforme e della distribuzione delle skin; Domenico Cavezzi e Giovanni De Maria come organizzatori che risolvevano problemi informatici e espandevano la rete. E non dimentichiamo La rete PJ Nola, un’operazione chiave legata al clan Russo, con figure come Ambrosino, Romano, Moccia, Tufano, Vaiano, Silvano, Esposito e Zoppino a fare da “venditori” sul territorio. Gestivano decine di punti gioco, tra cui PG Nola 023 di Ammirati, AG Marigliano di Biondi, AG Costanzo di Costanzo, AG Monteforte di Mazzola e PJ Pezone di Pezone – una rete capillare che, pur essendo invisibile ai controlli ufficiali, alimentava l’economia sommersa della zona.

Ma non tutto fila liscio, come dimostra il caso di Salvatore Buonocore. Il nodo Buonocore: quando anche tra complici scoppia la guerra dei soldi. Doveva versare 88mila euro a Domenico Cavezzi per affari illeciti nel settore del gioco, ma si oppose, contestando il debito. Entra in gioco Gennaro Licciardi ‘o Baffone, che affidò la questione al clan Russo, sul loro territorio. Le pressioni e le minacce, tipiche del vecchio stile, non funzionarono: Buonocore resistette, trasformando quella che doveva essere una routine in un’estorsione fallita. È un episodio che mi fa riflettere su quanto, nonostante la facciata moderna, la camorra resti legata a meccanismi arcaici di intimidazione.

In fondo, questa è la Napoli che conosco: una città dove i clan si reinventano da camorristi di strada a manager del crimine, con fatturati che superano molte imprese legali. Una camorra che cambia, ma non troppo. I Licciardi di oggi non sparano più nelle piazze di Secondigliano, ma gestiscono reti online che generano profitti immensi. Eppure, basta un’occhiata alle carte processuali per vedere che il cuore del sistema è invariato: la minaccia, l’intimidazione, il nome che pesa come un macigno. Da qui, dal territorio, mi chiedo se questa “evoluzione” stia davvero rendendo la camorra più silenziosa o solo più insidiosa, continuando a condizionare le nostre vite quotidiane, dai quartieri ai campi. La lotta contro tutto questo non è solo giudiziaria; è una sfida sociale che Napoli deve affrontare, un passo alla volta, per non lasciare spazio a questi “garanti” del crimine.

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