Cronaca
In tribunale locale, l’ex famiglia di Maradona si ribella: “Accuse infondate del manager ex ci screditano ingiustamente”. (88 caratteri)
#ProcessoMaradonaARoma: La famiglia del Pibe de Oro sfida le ombre dell’ex manager in aula
A Roma, le aule di giustizia tornano a essere il palcoscenico per le eredità contese di Diego Maradona, con l’ex manager Stefano Ceci ancora al centro di un processo per diffamazione aggravata che non fa che riaccendere le vecchie ferite di un’icona del calcio. Come cronista locale, abituato a osservare queste dinamiche da un territorio che ha idolatrato e talvolta sfruttato Maradona – pensiamo solo all’affetto napoletano che ancora oggi riecheggia nelle strade – non posso fare a meno di riflettere su come queste battaglie legali rivelino il lato oscuro del successo, dove i ricordi diventano armi e i familiari finiscono nel mirino di accuse infondate.
È stato un giorno carico di emozioni, con Claudia Villafañe e le sue figlie, Dalma e Giannina, che hanno preso la parola per descrivere il peso insostenibile delle dichiarazioni rilasciate da Ceci durante un’intervista del 30 ottobre 2021. Proprio nel bel mezzo delle dispute sui diritti d’immagine del campione, quelle parole hanno riaperto cicatrici mai rimarginate, dipingendo la famiglia come parte di un dramma che va ben oltre il campo da gioco. Villafañe, supportata dal suo avvocato Francesco Caroleo Grimaldi, ha sottolineato come ogni accusa contro di lei si diffonda a livello globale, amplificando un dolore che, nel contesto italiano, ricorda come le leggende sportive spesso diventino prede di chi cerca di capitalizzare sul loro nome anche dopo la morte.
Le tre donne non hanno risparmiato dettagli sulle inesattezze delle affermazioni di Ceci, che hanno etichettato come “terribili”, non solo per la loro falsità, ma per il modo in cui distorcono la realtà. Pensateci: in un paese come l’Italia, dove il culto di Maradona è ancora vivo – dalle murales di Napoli ai dibattiti nei bar – accusare qualcuno di aver sottratto cimeli del Pibe de Oro è come gettare benzina su un fuoco che non si spegne. Villafañe ha chiarito che, dopo la separazione, quegli oggetti erano rimasti nella sua casa e un giudice argentino li aveva riconosciuti come legittimamente suoi, ribaltando narratives che sembrano più script di un reality show che fatti reali.
E poi ci sono le dichiarazioni di Ceci nell’intervista, che non lesinano colpi: definendo “parassiti” quanti avrebbero approfittato di Maradona in vita e continuato a farlo dopo la sua scomparsa, o dipingendo il campione come un uomo costretto a cambiare casa per poi “morire nella giungla”. Da un punto di vista locale, queste parole suonano quasi ironiche, considerando come Napoli abbia accolto Maradona come un eroe, solo per vederlo invischiato in controversie che ne offuscano l’eredità. Eppure, Dalma e Giannina hanno testimoniato come, subito dopo la morte del padre, abbiano scoperto un contratto sui diritti d’immagine tra Maradona e Ceci, con l’ex manager che prometteva somme per gli eredi ma non ha mai consegnato nulla. È una mancanza che, nel mio ruolo di cronista del territorio, interpreto come un’ennesima tacca in una guerra legale infinita, dove i soldi e la fama alimentano sospetti che non fanno altro che dividere chi dovrebbe onorare la memoria di un gigante.
In fondo, questa vicenda è un riflesso crudo della nostra realtà italiana: da Roma a Napoli, le storie di celebrità come Maradona ci ricordano quanto sia fragile il confine tra ammirazione e sfruttamento. Mentre il processo va avanti, non posso che sperare che prevalga la verità, per restituire un po’ di pace a una famiglia che, nonostante tutto, continua a combattere per il vero legado del Pibe de Oro.
