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Cronaca

Fondazione Vassallo incalza il Viminale: perplessità sul flash mob per Cagnazzo, un evento che divide la comunità locally.

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Fondazione Vassallo incalza il Viminale: perplessità sul flash mob per Cagnazzo, un evento che divide la comunità locally.

Flash mob per Cagnazzo a Salerno: quando il sostegno divide la comunità e solleva dubbi istituzionali #Salerno #GiustiziaPerVassallo #CronacheLocali

A Salerno, un raduno improvviso in favore di Fabio Cagnazzo, accusato di concorso in omicidio con metodi mafiosi legati all’uccisione del sindaco Angelo Vassallo, ha scatenato un’onda di polemiche che va ben oltre le aule del tribunale. Come cronista radicato in questa terra, dove le storie di corruzione e lealtà allo Stato si intrecciano con la vita quotidiana, vedo in questo episodio un riflesso delle tensioni che ancora covano nella nostra provincia, quindici anni dopo la tragica scomparsa del “sindaco pescatore”. Non è solo un fatto di cronaca, ma un segnale di come le istituzioni locali possano vacillare, mettendo in discussione la memoria collettiva e la credibilità delle forze dell’ordine.

L’iniziativa si è svolta il 14 novembre proprio davanti al Tribunale di Salerno, attirando l’attenzione per la presenza di individui che, secondo la Fondazione Vassallo, sono o sono stati membri dei carabinieri. Questa circostanza ha colpito profondamente l’ente impegnato a perpetuare l’eredità di Vassallo, tanto da spingere i suoi rappresentanti a inviare una lettera formale al ministro dell’Interno, al Comandante Generale dell’Arma e al Prefetto di Salerno. In essa, si sottolineano le incongruenze di un simile spettacolo, soprattutto considerando che lo stesso Stato – attraverso il Ministero dell’Interno, la Presidenza del Consiglio e il Ministero della Giustizia – è parte civile nel processo contro Cagnazzo.

La Fondazione non ha esitato a definire l’accaduto “singolare e inquietante”, un’etichetta che, da chi osserva da vicino le dinamiche salernitane, suona come un campanello d’allarme. Qui, dove il mare e la montagna custodiscono storie di eroismo e ombre di complicità, vedere figure in uniforme o ex uniformati manifestare per un imputato in un caso di omicidio premeditato solleva interrogativi profondi. È come se, in un teatro antico come la nostra Salerno, si stesse inscenando un dramma che mescola lealtà personale con doveri istituzionali, richiamando alla mente l’antico Areopago greco – quel tribunale sacro per i delitti volontari – per evidenziare il peso morale di agire davanti a un luogo di giustizia.

Ma andiamo oltre i fatti: come giornalista del territorio, non posso ignorare come queste vicende riaprano ferite mai del tutto cicatrizzate. La Fondazione, guidata dalla famiglia Vassallo, continua a battersi contro ciò che percepisce come ostacoli alla verità, ricordando le querele subite nel tempo e denunciando un clima di impunità. Nel testo della lettera, si legge una critica velata ma tagliente: “È spiacevole vedere uomini dello Stato continuare a seminare spine”, un’affermazione che risuona nelle nostre strade, dove la gente si chiede se lo Stato stia davvero proteggendo i suoi simboli o se, come suggerito, “lo Stato è scalzo”, esposto e vulnerabile. Chiedono chiarimenti sull’eventuale autorizzazione del flash mob, un dettaglio che, per noi locali, apre discussioni su come le regole vengano applicate o ignorate in un contesto dove il legame tra potere e territorio è spesso ambiguo.

In fondo, questo episodio è un promemoria della complessità salernitana, una città che celebra i suoi martiri ma lotta contro le sue contraddizioni. Mentre il processo prosegue, la speranza è che prevalga una chiarezza che rafforzi la fiducia nelle istituzioni, non la minacce. In un posto come il nostro, dove ogni evento locale riecheggia storie più grandi, è essenziale che la giustizia non sia solo pronunciata, ma sentita da tutti.

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