Cronaca
Ennesimo scandalo camorra e appalti al Cardarelli: 13 anni a Lama, prescrizione per gli altri. La realtà locale non cambia.
Camorra e appalti al Cardarelli: quando la mafia si infila nei corridoi della salute pubblica? #Napoli #Camorra #AppaltiCorruzione #CronacaLocale
Nella Napoli che tutti conosciamo, quella dei vicoli vibranti e delle istituzioni sotto pressione, la condanna di Riccardo Lama a 13 anni di reclusione per associazione a delinquere di stampo mafioso in concorso con il clan Lo Russo suona come un altro campanello d’allarme. Come cronista locale, cresciuto tra le strade di Miano e Fuorigrotta, non posso fare a meno di riflettere su come questi intrecci malavitosi continuino a erodere la fiducia nei servizi pubblici, specie in un ospedale come il Cardarelli, che per tanti napoletani è sinonimo di speranza e cura.
Questa sentenza, emessa dalla prima sezione penale del tribunale di Napoli – con il collegio presieduto da Maria Armonia De Rosa – chiude un lunghissimo dibattimento durato otto anni, noto come processo “Kuadra”. Al centro c’è l’inchiesta sulle infiltrazioni camorristiche negli appalti per le pulizie dell’ospedale, un tema che mi fa sempre pensare a quanto la nostra città paghi il prezzo di una criminalità che si maschera da imprenditoria. Lama, titolare della società Kuadra, non era solo un uomo d’affari con clienti prestigiosi in tutta Italia; le indagini hanno rivelato come la sua azienda fosse usata come “polmone finanziario” per il clan, un meccanismo che, purtroppo, non sorprende chi vive qui e vede quotidianamente come la camorra si adatti ai tempi moderni, infilandosi nei contratti pubblici con la stessa facilità con cui si muove nei quartieri.
Tornando al blitz del 2016, quell’operazione della squadra mobile di Napoli e della polizia postale – coordinata dal gip Mario Morra e dai pm Filippo Beatrice, Enrica Parascandolo e Henry John Woodcock – fu un colpo duro, con 12 ordinanze di custodia cautelare eseguite in un colpo solo. Basata su intercettazioni nella sede di Kuadra a via Diocleziano e sulle confessioni di collaboratori di giustizia, l’inchiesta ha esposto come la camorra usasse queste società per finanziare le proprie reti, inclusi i pagamenti alle famiglie degli affiliati. È frustrante, da cittadino e giornalista, constatare che mentre si combattono questi mostri, la burocrazia e la prescrizione dei reati spesso lasciano buchi nel sistema, permettendo a molti di scivolare via.
Prima di questa sentenza, nel 2019, la Corte di Appello di Napoli aveva già confermato condanne per lo stesso giro, infliggendo 8 anni ciascuno a Vincenzo Lo Russo e Antonio Festa – una decisione che, all’epoca, mi sembrò un piccolo passo avanti nella lotta alla camorra, ma che oggi appare come una goccia in un oceano di corruzione. Il blitz del 2016 aveva coinvolto anche altri, come Giulio De Angioletti, Giuseppe Lo Russo e Mario Lo Russo, finiti in carcere, mentre alcuni erano stati posti agli arresti domiciliari.
Ora, ecco un quadro chiaro degli imputati e delle decisioni del tribunale, che come al solito mescola condanne e assolute perplessità:
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Condannati:
Riccardo Lama: 13 anni di reclusione per associazione a delinquere di stampo mafioso.
Vincenzo Lo Russo: 8 anni (confermati in appello nel 2019).
Antonio Festa: 8 anni (confermati in appello nel 2019). -
Assolti:
Massimo Alemagna: assolto con formula piena “per non aver commesso il fatto” (in qualità di socio di maggioranza di Kuadra).
Giuseppe Ariello: assolto.
Luigi Solitario: assolto.
Giuseppe Cadalt: assolto. -
Prescritti (improcedibilità):
Gaetano Russo: prescrizione dei reati, tra cui corruzione e turbativa d’asta.
Salvatore Quagliariello: prescrizione.
Dario Fornasa: prescrizione.
Per alcuni capi d’imputazione, l’aggravante mafiosa è caduta, e le motivazioni della sentenza saranno depositate entro 90 giorni. Come napoletano doc, non posso che commentare che queste storie ci ricordano quanto la camorra sia un’ombra costante sulla nostra comunità: da un lato, vittorie come questa condanna offrono un barlume di giustizia, dall’altro, le prescrizioni e le assoluzioni alimentano il senso di un sistema che gira a vuoto. È tempo che Napoli, con la sua resilienza, pretenda più trasparenza negli appalti, per garantire che i nostri ospedali rimangano luoghi di guarigione, non di affari loschi.
