Cronaca
Duro colpo al clan Amato-Pagano: 250 anni di carcere per la rete della droga nel nostro territorio.
#NapoliNonDimentica: Il processo al clan Amato-Pagano sfocia in condanne, ma senza il colpo decisivo sperato
In una Napoli che continua a combattere l’ombra pervasiva del narcotraffico, il recente verdetto contro la cosiddetta “holding” del clan Amato-Pagano ha portato a 29 condanne e due assoluzioni, per un totale di quasi 250 anni di carcere, eppure lascia un sapore amaro. Come cronista del territorio, osservo da anni come queste battaglie legali riflettano le cicatrici di un’area Nord sommersa da stupefacenti, ma anche come spesso il sistema giudiziario finisca per bilanciare troppo a favore di sconti procedurali, lasciando i cittadini a chiedersi se sia davvero giustizia o solo un palliativo.
Il giudice per le indagini preliminari Ivana Salvatore ha emesso la sentenza nel rito abbreviato, chiudendo un capitolo che non ha inflitto la “stangata” auspicata dall’accusa. Qui, dove le piazze di spaccio sono parte del quotidiano, è evidente che le pene, ridotte in molti casi rispetto a quanto richiesto dalla Procura, rappresentano un compromesso tra la gravità delle accuse e i benefici del rito abbreviato. Non è una sorpresa per chi vive queste dinamiche: la giustizia cerca di colpire duro, ma le strategie difensive spesso erodono l’impatto, perpetuando un ciclo di impunità parziale che alimenta il malcontento locale.
L’inchiesta, orchestrata dalla Direzione Distrettuale Antimafia e condotta dai carabinieri, aveva svelato una rete ramificata, con radici in Spagna, dove un gruppo legato a figure come Simone Bartiromo gestiva l’importazione di droga. Da lì, i carichi arrivavano nei comuni dell’hinterland settentrionale, sotto la protezione degli Scissionisti di Secondigliano – storici rivali in faide come quella di Scampia. Per noi del posto, questo non è solo un fatto di cronaca: è un promemoria delle connessioni transnazionali che infettano il tessuto sociale napoletano, dove il narcotraffico non è un business astratto, ma una piaga che devasta famiglie e quartieri.
Tra gli elementi emersi, un sistema di assistenza legale centralizzata per i sodali arrestati, un meccanismo che sottolinea quanto queste organizzazioni siano strutturate e resistenti. Parallelamente, il riciclaggio dei profitti attraverso collaborazioni con operatori cinesi – per una commissione del 2,4% – evidenzia un’economia sommersa che si intreccia con quella legittima, erodendo la fiducia nelle istituzioni. È un aspetto che, come locale, mi fa riflettere: quante volte abbiamo visto questi flussi di denaro “ripulito” finanziare attività che sembrano normali, ma alimentano il controllo criminale sul territorio?
Non mancano accuse di disponibilità di armi, viste come garanti del dominio e della difesa dei traffici illeciti. Il verdetto, accolto con sollievo dai difensori, riduce sensibilmente le richieste della Procura, ma lascia aperta la porta a un appello acceso. Qui a Napoli, dove la lotta alla camorra è una storia infinita, questo equilibrio tra accuse e attenuanti non fa che ravvivare il dibattito: è un segnale di progresso o un’ulteriore dimostrazione che le pene severe spesso restano solo un miraggio?
L’elenco delle condanne, dalla più alta alla più bassa, traccia il profilo di una rete decimata, ma forse non abbastanza:
- Antonio Marrone – 15 anni e 5 mesi
- Salvatore Mari – 14 anni
- Raffaele Marrone – 14 anni e 7 mesi
- Luigi Diano – 13 anni e 4 mesi
- Francesco Tessitore – 11 anni
- Giuliano Tessitore – 11 anni
- Domenico Stefanelli – 10 anni
- Pasquale Diglio – 10 anni e 1 mese
- Raffaele Maisto – 8 anni e 11 mesi (richiesti 14 anni)
- Vincenzo Mangiapili – 8 anni e 2 mesi
- Enrico Bocchetti – 8 anni (richiesti 18 anni)
- Domenico Guerra – 8 anni (richiesti 18 anni)
- Emanuele Cicalese – 7 anni e 6 mesi (richiesti 18 anni e 4 mesi)
- Salvatore D’Aria – 7 anni e 6 mesi
- Arturo Vastarelli – 7 anni e 8 mesi
- Luigi Ascione – 7 anni e 4 mesi
- Carlone Calzone – 7 anni e 4 mesi
- Massimo Dannier – 7 anni e 4 mesi
- Maurizio Errichelli – 7 anni e 4 mesi
- Antonio Pandolfi – 7 anni e 4 mesi
- Francesco Fiengo – 6 anni e 8 mesi (richiesti 18 anni)
- Gennaro Diano – 6 anni e 8 mesi
- Gaetano Pezzella – 6 anni e 8 mesi
- Patrizio Pone – 6 anni e 8 mesi
- Vincenzo Sinacra – 6 anni e 8 mesi
- Nicola Di Casola – 4 anni e 6 mesi
- Massimo D’Onofrio – 4 anni e 4 mesi
- Salvatore Sansone – 4 anni e 4 mesi (richiesti 16 anni)
Assolti: Salvatore Ruocco e Mirko Russo.
Ora, attendiamo le motivazioni della sentenza entro novanta giorni, che potrebbero chiarire come il giudice abbia valutato prove e contestazioni. Per Napoli, questo non è solo un caso giudiziario: è un banco di prova per la nostra capacità di spezzare catene che da decenni avvelenano la comunità. Se non cambiano le dinamiche, il rischio è che queste condanne, per quanto significative, restino un piccolo passo in una strada ancora troppo lunga. #GiustiziaNapoli #ClanAmatoPagano
