Cronaca
Casalesi in fermento: dal carcere, l’ordine di silenziare il pentito. Due fratelli finiscono in manette.
#ClanCasalesiInAzione: Dal carcere di Voghera, minacce che arrivano fino a Perugia per silenziare un collaboratore. #Antimafia #CronacheLocali #PerugiaSicura
Qui a Perugia, dove la vita scorre tra i vicoli medievali e le colline umbre, ci troviamo ancora una volta di fronte al tentacolo allungato della criminalità organizzata, quella che non si arrende nemmeno dietro le sbarre. L’operazione dei Carabinieri del Nucleo Investigativo locale, supportati dai comandi territoriali, ha smascherato un meccanismo ben oliato: un boss del clan dei Casalesi, rinchiuso nel carcere di Voghera, ha continuato a dirigere un’intimidazione a distanza, mirata a far tacere un ex compagno che aveva scelto di collaborare con la giustizia. È un capitolo che ci ricorda quanto sia sottile il confine tra il nostro quotidiano e l’ombra della camorra, soprattutto in una regione come l’Umbria, che spesso si illude di essere immune da questi flussi malavitosi provenienti dal Sud.
Come cronista di queste parti, non posso fare a meno di riflettere su come questa storia esca dai confini del mero fatto di cronaca per toccare le dinamiche sociali del territorio. I due fratelli, entrambi originari di Casal di Principe, sono finiti in manette in un blitz scattato all’alba, colpiti da un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal GIP di Napoli su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia. Si tratta di un’accusa pesante: induzione a non rendere dichiarazioni all’autorità giudiziaria, aggravata dal metodo mafioso. Non si trattava di semplici messaggi, ma di veri e propri “avvertimenti” in stile camorristico. Qui, il boss in carcere fungeva da burattinaio, mentre il fratello libero agiva come tramite, consegnando lettere che miravano a terrorizzare il testimone chiave.
Per contestualizzare questo episodio, basta riavvolgere al marzo 2023, quando i carabinieri perugini sferrarono un duro colpo al narcotraffico: un corriere fu intercettato al confine con la Francia, con un carico impressionante di 35 chilogrammi tra eroina e cocaina. Quel sequestro non è stato solo un successo operativo, ma l’innesco di un vero e proprio terremoto. L’uomo arrestato decise di pentirsi, rivelando i legami di un’organizzazione criminale radicata nell’agro aversano, che inondava di droga non solo l’Umbria ma l’intero mercato nazionale. Da qui, l’esigenza per il clan di intervenire, e così, tra maggio 2024 e giugno 2025, otto lettere – alcune scritte a mano, altre dattiloscritte – hanno raggiunto il collaboratore, con l’intento di farlo ritrattare o mentire in tribunale per salvare il loro capo da una condanna nel processo per traffico internazionale di stupefacenti.
Questa strategia del terrore, orchestrata da dentro il carcere, è un segnale inquietante per noi che viviamo qui: dimostra come la mafia non sia un problema distante, confinato al Sud, ma una minaccia che si insinua nelle nostre comunità, sfruttando legami familiari e comunicazioni sotterranee. I fratelli, agendo in concorso, hanno tentato di spezzare la catena della giustizia, ma il blitz di oggi ha finalmente interrotto quel canale, rafforzando le basi per future condanne. Come locale, mi chiedo quanto ancora dovremo convivere con questi echi, e se non sia ora di unire le forze del territorio per arginare infiltrazioni che minano la nostra sicurezza e il tessuto sociale. In fondo, ogni arresto è una vittoria, ma anche un reminder che la lotta alla criminalità è una battaglia quotidiana, qui, nel cuore dell’Umbria.
