Cronaca
Camorra in difficoltà: sequestrati beni per 25 milioni ad Arturo Di Caprio, un altro colpo alla rete locale.
#SequestroMiliardario a Cassino: La Camorra Infila Tentacoli nel Cuore del Lazio Meridionale #CriminalitàOrganizzata #Frosinone
Nel Lazio meridionale, dove le radici della criminalità spesso si confondono con il tessuto economico locale, un’operazione dei finanzieri del Gico di Roma e Frosinone ha sferrato un colpo duro contro un presunto impero illecito. Arturo Salvatore Di Caprio, un imprenditore di Cassino etichettato dalle autorità come figura “socialmente pericoloso”, si è visto privare di beni per oltre 25 milioni di euro, un sequestro preventivo che non fa che confermare quanto le vecchie alleanze camorristiche siano ancora vive e vegete in queste terre.
Come cronista di queste parti, dove gli appalti edilizi e le reti d’affari sono da sempre un terreno fertile per infiltrazioni oscure, non posso fare a meno di riflettere su come personaggi come Di Caprio incarnino un problema endemico. L’uomo, già balzato agli onori delle cronache per i suoi trascorsi giudiziari, ha costruito una fitta trama di attività che vanno dal traffico di droga alla bancarotta fraudolenta, fino a complessi meccanismi di riciclaggio internazionale. Non è solo cronaca nera: è un segnale di come l’economia sommersa prosciughi risorse dalla comunità, lasciando ombre su un territorio che lotta per emergere.
Le indagini, guidate dal procuratore di Cassino, hanno ricostruito il percorso di Di Caprio con precisione chirurgica. Nel 2018, l’operazione “Cavaliero Nero” lo aveva già portato in carcere, svelando i suoi stretti legami con il clan La Torre, una ramificazione camorristica che, da queste parti, ha sempre saputo adattarsi ai contesti locali, infiltrandosi negli affari quotidiani. Dopo una latitanza che ha alimentato le chiacchiere nei bar di provincia, è stato riarrestato nel 2022. Le sue condanne definitive per bancarotta e spaccio di stupefacenti appaiono solo la superficie di un iceberg molto più vasto, come gli inquirenti sostengono da tempo.
Ma il vero nocciolo della questione, secondo i finanzieri, risiede in due associazioni criminali specializzate in evasione fiscale. Il loro metodo? Truffe aggravate contro lo Stato, riciclaggio di denaro sporco e bancarotte fraudolente orchestrate con sistematicità, mentre Di Caprio accumulava ricchezze smisurate rispetto ai redditi dichiarati. Queste operazioni non sono solo reati astratti: qui, nel Lazio meridionale, significano posti di lavoro persi, distorsioni nel mercato e un’erosione della fiducia tra la gente. È un ciclo che conosco bene, avendo visto come questi schemi finiscano per avvelenare l’intera catena di valore, dai piccoli imprenditori ai cittadini onesti.
I beni sequestrati, d’altra parte, parlano da soli della doppia vita di quest’uomo: conti correnti sparsi in banche italiane ed estere, un terreno a Piedimonte San Germano che simboleggia l’espansione immobiliare tanto contestata in zona, 37 società attive in vari settori che mascheravano operazioni illecite, e 6 auto di lusso che stonano con la realtà economica di tanti qui attorno. Come giornalista locale, mi chiedo quanto questi simboli di opulenza abbiano influenzato le dinamiche sociali, alimentando un senso di ingiustizia che pervade le nostre comunità.
Questa operazione non è solo un successo delle forze dell’ordine, ma un campanello d’allarme per il Lazio meridionale: le vecchie reti camorristiche continuano a prosperare negli appalti e nel cemento di Frosinone, sfruttando la vulnerabilità di un territorio in cerca di sviluppo. È tempo che la società civile e le istituzioni si mobilitino per tagliare questi tentacoli, garantendo che i frutti dell’economia locale vadano a chi li merita davvero, senza ombre di criminalità. Solo così potremo sperare in un futuro più trasparente per queste terre.
