Cronaca
Afragola sotto choc per il femminicidio di Martina: la madre accusa l’ex, “Mai il tuo perdono”
Afragola piange Martina: il grido di una madre che non si arrende #StopFemminicidio #GiustiziaPerMartina
In una Napoli sempre più segnata da storie di violenza domestica e tragedie familiari, il dolore di Enza Cossentino torna a echeggiare con forza nelle strade del nostro territorio. Come cronista locale, che vive e respira le dinamiche di Afragola e della provincia nord, non posso ignorare quanto questo dramma continui a ferire una comunità già provata da anni di lotte contro la gelosia e gli abusi. Il post di Enza su Facebook è un pugno allo stomaco per tutti noi, un monito che va oltre i fatti, invitandoci a riflettere su come la violenza possa annidarsi persino tra i giovanissimi, trasformando l’amore in orrore.
«Non ti perdonerò mai, hai strappato il diamante prezioso che avevo», scrive Enza, esprimendo un lutto che non è solo personale, ma collettivo. È il grido di una madre che ha perso Martina Carbonaro, la sua ragazza di 14 anni, uccisa brutalmente lo scorso 26 maggio in un’area abbandonata ai margini di Afragola. L’assassino, l’ex fidanzato Alessio Tucci – anch’egli poco più che un adolescente – l’ha colpita alla testa con una pietra dopo un litigio, un atto che ha lasciato la nostra città in uno stato di shock profondo e duraturo.
Come qualcuno che conosce bene le periferie napoletane, dove i litigi tra giovani spesso scivolano nel silenzio della paura, vedo in questa storia un riflesso delle nostre piaghe sociali: rapporti tossici che covano nell’ombra, senza interventi preventivi. Le indagini della Procura per i Minorenni hanno ricostruito un legame tormentato, segnato da gelosie e minacce, culminato in un delitto passionale. Tucci ha confessato quasi subito, ammettendo di aver perso il controllo, di essersi spaventato e di aver tentato di occultare il corpo. Eppure, questo resoconto ufficiale non basta a lenire il dolore; è un promemoria crudo di come, nei nostri quartieri, la violenza possa esplodere senza preavviso, lasciando famiglie distrutte e una società intera a interrogarsi sul fallimento delle nostre reti di supporto.
Poi c’è quel dettaglio che, da locale, mi fa ribollire il sangue: la lettera che Tucci ha inviato al Papa dal carcere minorile, chiedendo perdono. Per molti di noi, qui ad Afragola, è stato come un’ulteriore beffa, un gesto che sembra sottovalutare l’abisso di sofferenza provocato. Enza lo definisce “un insulto al dolore”, e non posso che essere d’accordo – come giornalista che cammina per queste strade, vedo quanto simili atti di presunta redenzione possano sembrare vuoti di fronte al lutto irreparabile di una famiglia. «Cerco verità e giustizia, una giustizia vera», prosegue Enza nel suo post, e queste parole risuonano come un’accusa non solo all’assassino, ma al sistema che dovrebbe proteggere i più vulnerabili.
«Non so come hai fatto a guardarmi negli occhi e mentirmi… ti aspetterò e vendicherò mia figlia», è il suo rimprovero diretto, un’esplosione di rabbia che molte madri del nostro territorio potrebbero condividere. Nel frattempo, Afragola si prepara a un momento di ricordo e denuncia: il 25 novembre, in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, verrà inaugurata una panchina rossa in Piazza del Rosario, dedicata a Martina. Sarà un simbolo potente, non solo per commemorare una vita spezzata troppo presto, ma per spingere la nostra comunità a fare i conti con la realtà – quante altre storie come questa si nascondono nei vicoli della periferia napoletana?
Martina aveva solo 14 anni, un’età in cui le ragazze dovrebbero sognare il futuro, non essere vittime di chi pretende di amarle. Come cronista locale, mi chiedo: quanti segnali abbiamo ignorato? Questa tragedia non è solo un fatto di cronaca; è un campanello d’allarme per Afragola e per l’intera area nord di Napoli, dove il dolore di Enza ci ricorda che la vera giustizia deve andare oltre le aule dei tribunali, radicandosi nelle nostre vite quotidiane.
