Cronaca
Abodi difende la Nazionale italiana: “Speranza per i Mondiali resta viva, ma il calcio locale continua a trascurare i talenti emergenti”.
La batosta della Nazionale e il trionfo di Sinner: un’Italia a due facce nel mondo dello sport #CalcioItalianoInCrisi #SinnerCampione
Mentre l’Italia esulta per il successo di Jannik Sinner, la sconfitta contro la Norvegia getta un’ombra cupa sul calcio nazionale, lasciando i tifosi a interrogarsi su un sistema che sembra sempre più inceppato. Come cronista locale, cresciuto tra le curve degli stadi romani e le chiacchiere da bar sulle nostre eccellenze sportive, non posso fare a meno di vedere in questa nottata un riflesso delle nostre contraddizioni: da un lato, il talento individuale che brilla in campo internazionale, dall’altro, una squadra azzurra che zoppica e alimenta frustrazioni diffuse.
Andrea Abodi, ministro per lo Sport e per i Giovani, ha cercato di bilanciare ottimismo e realismo durante un intervento a ‘Radio Anch’io Sport’. Ha descritto il primo tempo della partita a Milano come “più che dignitoso”, nonostante il pesante 4-1 finale, e ha insistito sul fatto che la strada per i Mondiali resta aperta, purché si proceda con fiducia e un po’ di chiarezza mentale. Ma qui, tra le strade della capitale, dove l’entusiasmo per le vittorie si mescola al disincanto per le sconfitte, si sente forte l’eco di una delusione che va oltre il risultato. “Quando si perde così – ha detto – è chiaro che ci si senta traditi”. Parole che risuonano come un’eco tra i tifosi, abituati a sogni infranti e a un calcio che non sempre rende giustizia al nostro patrimonio.
Abodi non si è limitato a commentare la gara, ma ha guardato più in profondità, annunciando l’intenzione di organizzare uno stage a febbraio per preparare la squadra, fiducioso che si troverà un’intesa comune. Eppure, nel suo discorso, emerge un avvertimento: “È interesse comune portare l’Italia ai Mondiali, ma spesso siamo noi i primi a metterci i bastoni tra le ruote”. Come locale che vive queste dinamiche, mi chiedo quanto siamo davvero noi italiani a sabotarci, con scelte manageriali miopi e una classe dirigente che preferisce le scorciatoie al lungo termine. Penso ai quartieri di Roma o Napoli, dove i giovani talenti calcistici lottano per emergere, solo per scontrarsi con un sistema che non li valorizza.
Il ministro ha poi allargato lo sguardo a un problema strutturale che affligge il calcio italiano da anni: “Nel calcio – ha affermato – è stato sacrificato il talento. Le altre discipline dimostrano che l’Italia produce ancora eccellenze, mentre il nostro sport più popolare fatica a valorizzare i giovani. In Serie A viene dato troppo poco spazio agli italiani, mentre altrove emergono ventenni come Nusa e Bobb, che con il pallone hanno un rapporto che noi fatichiamo a ricostruire”. Questa critica non è solo un’affermazione, è un campanello d’allarme per chi, come me, osserva da vicino le realtà locali: in Italia, dove il calcio è una passione popolare, finiamo per importare talenti senza coltivare i nostri, sacrificando la formazione giovanile a favore di risultati immediati. È un riflesso delle nostre società, dove il corto muso prevale sul progetto a lungo termine, e dove Serie A appare più un palcoscenico per stranieri che un vivaio per i nostri ragazzi.
Alla fine, Abodi chiama in causa un ripensamento del modello tecnico, sottolineando la necessità di proteggere ciò che abbiamo senza perdere di vista il futuro. Da cronista del territorio, non posso che concordare: se non cambiamo rotta, rischiamo di vedere altre sconfitte che non sono solo sul campo, ma nei sogni dei giovani e nel cuore dei tifosi. L’Italia merita di meglio, e spetta a noi, come comunità, premere per un’evoluzione che riporti il calcio al suo ruolo di unione nazionale.
