Cronaca
A Castellammare, i “sorveglianti” del clan D’Alessandro: come vigilavano i cantieri per imporre il pizzo sul territorio.
#CastellammareInGiornale: 50 anni di ombre sul nostro territorio, con l'”ummarell” del clan D’Alessandro a caccia di pizzo nei cantieri
Castellammare di Stabia, la nostra città con le sue strade familiari e i sogni interrotti, ha vissuto per cinque decenni sotto l’ombra opprimente del clan D’Alessandro. Qui, dove ogni vicolo racconta storie di resilienza e fatica quotidiana, questo gruppo criminale ha tessuto una rete di controllo capillare, trasformando il tessuto urbano in un campo di battaglia per l’estorsione. Come stabiese che osserva da vicino queste dinamiche, mi chiedo spesso come un potere così radicato abbia potuto sottrarre dignità a una comunità che merita di più, con i suoi lavoratori onesti e le imprese locali che arrancano sotto pesi ingiusti.
Al centro di questa trama, spicca la figura di Antonio Salvato, descritto dagli investigatori come un ingranaggio essenziale nel meccanismo del clan. Non un semplice osservatore, ma un uomo di fiducia incaricato di vigilare sui cantieri edili, che in questi anni sono diventati una vera miniera d’oro per la camorra. “Occhi e orecchie” disseminati sul territorio garantivano che nulla sfuggisse, trasformando ogni nuova impalcatura in un’opportunità per imporre il pizzo. Salvato, tra gli undici destinatari dell’ordinanza cautelare firmata dal gip Maria Luisa Miranda, era il “monitor dei cantieri”: segnalava le novità in tempo reale, avviava i contatti con gli imprenditori per estorcere denaro, incassava i proventi e persino gestiva le finanze del clan, inclusa la custodia di 155.610 euro sequestrati il 16 ottobre 2024, insieme a un’arma calibro 7.65. Era lui a distribuire gli “stipendi” agli affiliati, persino a quelli dietro le sbarre, rendendolo una figura operativa e fidata agli occhi della Direzione Distrettuale Antimafia.
Come cronista locale, non posso fare a meno di riflettere su come queste pratiche abbiano avvelenato l’economia stabiese. Pensateci: i cantieri, che dovrebbero simboleggiare progresso e lavoro, diventano invece trappole per estorsioni, alimentando un ciclo di corruzione che toglie fiato alle piccole imprese. Prendiamo l’episodio del geometra di Vico Equense, costretto a versare 1.500 euro sfruttando la “valenza intimidatoria” del clan – un trasferimento bonificato sul conto di Catello Iaccarino in una filiale BPER di Castellammare, poi prelevato e consegnato a Salvato il 13 agosto 2024. È un copione tristemente familiare, dove la paura del nome D’Alessandro basta a piegare la volontà, erodendo la fiducia nel nostro tessuto sociale.
Altri casi, come quello di una ditta in via Roma, seguono lo stesso schema: richieste iniziali di 3.000 euro, salite a 4.000, con Massimo Mirano come esecutore e Salvato e Michele Abbruzzese come burattinai. E poi, l’estorsione tentata contro un titolare di ditta individuale, dove Salvato e Giuseppe Oscurato hanno premuto per 5.000 euro in un incontro al Bar City il 28 settembre 2024. L’uomo ha provato a sottrarsi offrendo 2.500 euro e promettendo pagamenti rateali a dicembre 2024 e gennaio 2025, ma alla fine non ha ceduto, per motivi al di là del controllo dei clan. In ogni scenario, l’aggravante è chiara: il metodo mafioso, usato per rafforzare l’organizzazione e mantenere il loro dominio su Castellammare.
Questa struttura criminale, radicata nel nostro territorio, trasforma ogni attività in un potenziale affare sporco. “Ummarell”, un termine che qui non evoca innocue curiosità, ma un sistema di sorveglianza spietata, rende Salvato un elemento cruciale. Come qualcuno che vive e respira queste strade, vedo in tutto ciò non solo fatti d’inchiesta, ma un monito per la nostra comunità: quanto ancora possiamo tollerare che il clan D’Alessandro detti le regole, soffocando le opportunità e la vitalità di Castellammare? È tempo che la nostra resilienza locale si trasformi in un argine contro queste ombre, perché una città come la nostra merita di voltare pagina verso un futuro pulito.
