Cronaca
Parola sconosciuta compare all’improvviso
Uffa, il suono dell’impazienza: scopriamo la sua origine e il suo significato
Quando la noia e la frustrazione prendono il sopravvento, ecco che esce quel suono: “Uffa!”.
Siete mai stati in coda per venti minuti, con il computer che si blocca proprio quando state per salvare, o vi siete semplicemente annoiati a morte? In quei momenti, “Uffa!” è la parola che esce dalle labbra, un vero e proprio jolly emotivo che esprime la nostra impazienza e frustrazione. Ma da dove arriva questa parola? Non è un prestito dal latino, non è un termine aulico dimenticato. La sua origine è molto più “fisica” e istintiva.
La parola che nasce da un sospiro: “Uffa” è classificata come un’interiezione onomatopeica, che imita il rumore o l’azione che descrive. In questo caso, imita l’atto fisico dello sbuffare, il suono che produciamo quando espiriamo rumorosamente aria dalla bocca, spesso gonfiando le guance, per scaricare una tensione. “Uffa” non è altro che la trascrizione nero su bianco di un sospiro di fastidio, noia, impazienza o frustrazione.
La sua prima attestazione scritta risale al 1891, ma è ovvio che il suono da cui deriva è antico quanto l’essere umano e la sua capacità di annoiarsi. Occhio però a non confonderla con “a ufo”, un’espressione che ha un’origine storica affascinante e tutt’altro che onomatopeica. “A ufo” deriva dalla sigla A.U.F. (Ad Usum Fabricae), che nel Medioevo veniva apposta sui materiali destinati alla costruzione delle grandi cattedrali, esenti da dazi e tasse.
Il giro del mondo degli sbuffi: “Uffa” esiste all’estero? La risposta è sì, ma con sfumature sorprendenti. In inglese, esiste la parola “uff”, ma il significato è spesso diverso, usato per esprimere solidarietà per la fatica altrui o per indicare stanchezza e sollievo. In francese, il cugino più stretto del nostro “uffa” è “pff” (o “pfff”), che esprime esasperazione, noia o scetticismo. In tedesco, “uff” si avvicina molto all’uso inglese, come esclamazione di fatica, sforzo o sollievo dopo uno spavento.
Insomma, mentre l’atto di sbuffare è universale, la sua “traduzione” in una parola cambia. L’italiano “uffa”, con quella “a” finale, sembra quasi voler allungare il sospiro, caricandolo di tutta la platealità e l’insofferenza di cui siamo capaci. La prossima volta che vi scapperà un “uffa”, quindi, pensateci: non state solo parlando, state eseguendo un’onomatopea perfetta, un piccolo pezzo di teatro fonetico che esprime un’emozione universale con un suono tutto nostro.
