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Cronaca

Avellino, detenuto muore dopo pestaggio

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Avellino, detenuto muore dopo pestaggio

La Tragedia di Avellino: Una Crisi del Sistema Penitenziario

Un altro episodio di violenza e solitudine si è consumato all’interno di un istituto di detenzione italiano. Un detenuto di 60 anni, con gravi problemi psichiatrici, è deceduto presso il Reparto di Rianimazione dell’ospedale “Moscati” di Avellino, dove era ricoverato dal 29 settembre. La causa del ricovero sarebbe stato un violento pestaggio subito all’interno della REMS (Residenza per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza) di San Nicola Baronia, ad opera di un altro ospite della struttura.

Le REMS: Una Soluzione Imperfetta

Le REMS sono state create per sostituire gli ospedali psichiatrici giudiziari (OPG), con l’obiettivo di garantire un contesto più terapeutico e meno carcerario. Tuttavia, queste strutture soffrono spesso di sovraffollamento, carenza di personale specializzato e finanziamenti inadeguati.

Sovraffollamento e Violenza

Il sovraffollamento è un male cronico delle carceri italiane che tocca anche molte REMS. Riduce gli spazi vitali, limita l’accesso alle attività riabilitative e aumenta esponenzialmente lo stress e l’aggressività tra i detenuti/ospiti. In un contesto del genere, anche un litigio banale può degenerare in tragedia.

La Carenza di Assistenza Sanitaria

La cronaca riporta la presenza di due infermieri, il cui intervento è stato cruciale. Tuttavia, la domanda che sorge spontanea è: era presente un presidio medico o psichiatrico adeguato e continuativo nella struttura? La gestione della salute mentale in carcere e nelle REMS è una delle sfide più ardue.

Morti in Carcere: Un Bollettino di Guerra

La morte del 60enne morto nel carcere di Avellino si aggiunge a un triste elenco di morti avvenute in stato di detenzione. Ogni morte rappresenta un fallimento dello Stato nel suo dovere di custode, che include l’obbligo di proteggere l’incolumità e la salute di chi è privato della libertà.

Conclusione

La morte dell’uomo nella REMS di Avellino è un monito drammatico. Chiama in causa non solo le responsabilità individuali di chi ha materialmente compiuto il gesto violento, ma anche le responsabilità politiche e istituzionali di chi, per anni, ha sottovalutato l’emergenza carceraria. Investire in personale, strutture, programmi riabilitativi e assistenza sanitaria non è un optional, ma un imperativo legale, etico e di civiltà. Senza un cambio di rotta, il rischio è che simili tragedie continuino a ripetersi, nell’indifferenza generale, tra le mura di quelle che dovrebbero essere “residenze per la sicurezza” e che troppo spesso si rivelano, invece, luoghi di ulteriore pericolo e abbandono.

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