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Cronaca

Le ditte condannate, imputati salvati dalla prescrizione

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Le ditte condannate, imputati salvati dalla prescrizione

La discarica di Chiaiano rappresenta uno dei capitoli più oscuri della gestione dei rifiuti in Campania. Costruita con materiali scadenti e con una impermeabilizzazione precaria, la discarica fu realizzata in modo negligente, disattendendo tanto la legge quanto il buon senso comune. La famiglia Zagaria e i suoi associati, i Carandente Tartaglia, furono tra i principali promotori di un investimento mafioso avvenuto vent’anni fa. La sentenza emessa il 29 ottobre dalla prima sezione penale del Tribunale di Napoli ha confermato queste gravi irregolarità, nonostante il tradimento delle richieste della pubblica accusa.

La sentenza: escluso favoreggiamento alla camorra

Nel troncone napoletano del processo sono stati imputati una dozzina di individui; tuttavia, il favoreggiamento della camorra è stato escluso. A Santa Maria Capua Vetere, il capofila della famiglia Carandente è stato riconosciuto colpevole e la sentenza è stata confermata in appello. Reati come la truffa e la frode in pubbliche forniture sono stati riconosciuti, benché ormai prescritti. Anche il traffico illecito dei rifiuti e il loro smaltimento non autorizzato sono stati accertati, ma il tempo trascorso ha impedito sanzioni più severe.

I reati più gravi ormai caduti in prescrizione

I tempi della giustizia hanno impedito che sanzioni più gravi colpissero i responsabili nonostante l’evidente danno provocato. L’inquinamento e la frode sono avvenuti durante le emergenze rifiuti del 2003 e successivamente tra il 2007 e il 2009. Il processo ha rivelato la collusione tra pezzi dello Stato, imprenditoria e camorra, con una decina di persone a giudizio per reati che spaziano dall’associazione mafiosa alla violazione di normative ambientali.

La discarica di Chiaiano: costruita male, collaudi falsi

Le indagini preliminari hanno evidenziato modalità di allestimento della discarica sconcertanti. L’impermeabilizzazione era inadeguata, e l’argilla utilizzata, estratta abusivamente, non rispettava gli standard previsti. Inoltre, i collaudi degli impianti risultavano falsificati e i rifiuti venivano a diretto contatto con la terra. La famiglia Carandente, in possesso del subappalto per il sito di Chiaiano, aveva quindi creato una discarica abusiva, beneficiando di guadagni illeciti.

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