Cronaca Giudiziaria
Indagini sulla morte del pizzaiolo a Mergellina: testimoni incerti e lacune nel ricordo
La deposizione resa oggi davanti ai giudici della prima corte di assise di Napoli dal primo testimone chiamato a deporre nell’ambito del processo per l’omicidio di Francesco Pio Maimone è stata incerta in alcuni momenti, con alcuni tentennamenti, conferme e diversi “non ricordo”. Il giovane aspirante pizzaiolo di 18 anni è stato assassinato senza motivo la notte tra il 19 e il 20 marzo scorsi sul lungomare di Napoli mentre era in compagnia di alcuni amici. Il testimone lavora in uno chalet a Mergellina, nelle vicinanze del luogo della tragedia, e ha dichiarato di aver visto diversi dettagli della vicenda alla Squadra Mobile poco dopo l’accaduto.
Nell’aula 115 del Nuovo Palazzo di Giustizia di Napoli, quasi un anno dopo l’omicidio, la pm antimafia Antonella Fratello ha dovuto contestare alcune questioni per far tornare alla mente del testimone alcuni dettagli dei fatti di cui è stato testimone oculare. Lo sguardo fisso sul monitor dove gli imputati erano collegati in videoconferenza dalle carceri, il testimone ha confermato di aver visto sparare un ragazzo vestito di nero, ma in alto e non verso la folla. La polizia scientifica ha trovato segni di un colpo di pistola sparato ad altezza d’uomo in una delle auto parcheggiate vicino al luogo dell’omicidio, come quello che ha ucciso Francesco Pio.
Il racconto dei soccorsi prestati è stato particolarmente commovente, soprattutto per i familiari di Francesco Pio presenti in aula. Il testimone ha descritto di aver udito i colpi di pistola in lontananza, mentre tutti scappavano, e di essere entrato nel chiosco dove lavorava, dove ha visto il ragazzo vestito di nero sparare. Ha cercato di aiutare una ragazza impaurita e ha notato una macchia di sangue sul petto del suo amico Carlo, che non reagiva più. Era prevista la testimonianza di un altro testimone oculare, ma non si è presentato e verrà accompagnato in aula il prossimo 28 marzo.
L’avvocato Sergio Pisani, legale della famiglia di Francesco Pio Maimone, ha dichiarato che i testimoni frequentano ancora quelle zone, dove c’è il rischio di intimidazione. Tuttavia, crede nella giustizia e spera che tutti dicano la verità su ciò che hanno visto. Pisani ha sottolineato che il contesto è problematico e gravissimo, nato in un ambiente malavitoso, e che la ricostruzione degli eventi deve essere precisa. Il processo in corso a Napoli vede imputato il presunto assassino, Francesco Pio Valda, e un gruppo di suoi parenti e amici, i cui testimoni risentiranno di questo contesto.
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Cronaca Giudiziaria
Latitante tradito dai parenti influencer: arrestato Carabinieri in Spagna per legami con la Camorra.
La scoperta attraverso i social
La storia di Vincenzo Matacena, 39enne del rione Traiano ricercato per traffico di droga, ha preso una piega inaspettata grazie ai social media. Dopo essere fuggito in Spagna per rifarsi una vita come pizzaiolo a Valencia, Matacena è stato individuato grazie all’analisi dei profili social dei suoi familiari.
Le prove sui social
Una storia Instagram pubblicata da un parente ha svelato la presenza di Matacena in Spagna, mentre altri indizi sono emersi da video condivisi da persone vicine al ricercato. In particolare, un video di “unboxing” ha permesso ai Carabinieri di risalire all’indirizzo di Matacena, mentre altri video lo hanno mostrato insieme alla moglie, al figlio e durante il suo lavoro in pizzeria.
Curiosamente, la maglia del figlio in uno dei video ha rivelato il nome della scuola che frequentava, fornendo ulteriori dettagli utili per l’indagine.
L’arresto e l’attesa dell’estradizione
Grazie alla collaborazione con la Polizia Nazionale Spagnola, Matacena è stato arrestato e attualmente si trova in un carcere spagnolo in attesa di estradizione. La sua fuga e il tentativo di ricominciare una nuova vita sono stati vanificati dalla paziente ricerca condotta attraverso i social media, dimostrando una volta di più il potere e l’importanza di questi strumenti nella lotta alla criminalità.
Cronaca Giudiziaria
Gratteri: mafia in pareggio, lotta ancora in corso
La trasformazione della mafia e la necessità di investire in ingegneri informatici
Il procuratore della Repubblica di Napoli, Nicola Gratteri, ha presentato il report della Fondazione Magna Grecia sul cyber crime nella sede Onu di New York, evidenziando la rapida trasformazione della mafia. Secondo Gratteri, le organizzazioni criminali sono in grado di gestire grandi quantità di droga e oro attraverso transazioni online senza spostarsi dai propri luoghi di residenza.
La lotta alla mafia e il ruolo delle forze dell’ordine
Gratteri ha sottolineato l’importanza di investire in giovani ingegneri informatici per contrastare efficacemente la criminalità organizzata. Ha evidenziato che le mafie stanno abbandonando i tradizionali mezzi di estorsione per concentrarsi sul commercio di droga, un settore estremamente redditizio che genera ingenti profitti ogni anno.
Le nuove sfide della lotta al crimine online
L’evoluzione delle mafie verso il cyber crime rappresenta una sfida per le forze dell’ordine, che devono adattarsi e potenziare le proprie capacità investigative. Gratteri ha evidenziato come le mafie siano in grado di sfruttare le nuove tecnologie per compiere azioni illegali, come il riciclaggio di denaro attraverso banche online create ad hoc.
Gratteri ha anche avvertito sul pericolo che le mafie accumulino sempre più ricchezza, con conseguente impatto sull’economia globale. È quindi fondamentale intensificare gli sforzi nella lotta al crimine organizzato e investire in nuove competenze per contrastare questa nuova forma di criminalità.
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Cronaca Giudiziaria
Scopri i misteri del pentimento di Schiavone, il boss sanguinario.
Perché Sandokan si è pentito?
La decisione di collaborare con la giustizia da parte dell’ex boss dei Casalesi, Sandokan, ha suscitato domande tra gli addetti ai lavori dell’antimafia. I magistrati stanno ascoltando le sue confessioni da circa un mese, ma il motivo preciso del suo pentimento non è ancora chiaro agli occhi del pubblico.
Le ipotesi sul pentimento di Sandokan
Una delle ipotesi riguarda il miglioramento delle condizioni detentive come motivazione principale di Sandokan per collaborare. Potrebbe aver scelto questa strada per ottenere benefici penitenziari e puntare a una possibile liberazione anticipata in futuro.
Un’altra possibile ragione potrebbe essere legata alla sicurezza dei suoi familiari. La moglie Giuseppina Nappa e i sette figli potrebbero aver avuto un ruolo determinante nel suo pentimento, con alcune figlie che si sono già dichiarate disponibili a collaborare con le autorità e ad entrare nel programma di protezione.
La riunificazione familiare potrebbe essere un altro motivo dietro la decisione di Sandokan di pentirsi. Con alcuni figli già in carcere e uno che ha rifiutato di collaborare, la scelta potrebbe essere stata volta a cercare una forma di unità familiare, anche attraverso la collaborazione con la giustizia.
Infine, motivi personali come una diagnosi di tumore nel 2018 potrebbero aver giocato un ruolo nel pentimento di Sandokan. La consapevolezza della sua malattia e la possibile disgregazione del suo clan potrebbero averlo spinto a compiere questa scelta per mandare un messaggio agli ex affiliati e rivali.
Il futuro di Sandokan
Le confessioni di Sandokan potrebbero avere un impatto diretto nella lotta alla criminalità organizzata in Campania. Il destino dell’ex boss dipenderà dalle informazioni che fornirà attraverso la collaborazione e dalla loro importanza per le indagini in corso.
Al momento, le vere ragioni del suo pentimento rimangono avvolte nel mistero. Solo il tempo e lo sviluppo del processo di collaborazione potranno fare chiarezza sui reali motivi che hanno spinto Sandokan a tradire il suo clan.