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Cronaca

Una detenuta perde la vita per overdose a Rebibbia, spingendo il sindacato a denunciare la crescente emergenza droga nelle carceri italiane

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Una detenuta perde la vita per overdose a Rebibbia, spingendo il sindacato a denunciare la crescente emergenza droga nelle carceri italiane

Tragedia nel cuore di Roma: una detenuta perde la vita per overdose nel carcere di Rebibbia, mentre l’ombra della droga si allunga su tante storie silenziose. #CarcereRoma #EmergenzaDroga

Immaginate il caos di una mattina qualunque nel carcere femminile di Rebibbia, un’imponente struttura ai margini della caotica Roma, dove la vita scorre tra sbarre e routine spezzate. Qui, una donna di 59 anni ha affrontato il suo ultimo respiro, travolta da un’overdose che ha strappato via la sua storia personale in un istante. Non è sola in questo dramma: un’altra detenuta è stata portata d’urgenza in ospedale, lottando per la vita in condizioni critiche, un evento che riecheggia tra i corridoi come un allarme tardivo.

Questa vicenda non è un fatto isolato, ma un capitolo doloroso di una crisi più ampia che il sindacato della Polizia Penitenziaria vede crescere come un’onda inarrestabile. “Siamo all’ennesimo caso di diffusione di stupefacenti che solo negli ultimi mesi dell’anno registra due morti a San Vittore-Milano e tre ricoverati in gravi condizioni, sempre a Rebibbia reparto maschile un decesso, uno a Sassari, uno a Gorizia, uno a Reggio Emilia e uno a Firenze”, denuncia con amarezza il segretario del sindacato. È come un bollettino di guerra, che dipinge istituti penitenziari non come luoghi di riabilitazione, ma di pericoli nascosti, riflettendo un contesto urbano dove la criminalità trova vie sotterranee per infiltrarsi.

L’atmosfera all’interno di questi muri è pesante, con le comunità carcerarie che convivono con paure quotidiane, mentre le famiglie all’esterno si interrogano su come proteggere i loro cari. Nel 2024, il personale ha sequestrato ben 65 kg di sostanze stupefacenti di vario genere, un numero che racconta solo in parte l’evoluzione di un mercato oscuro. “Anche se più recente molto pericoloso è l’ingresso nelle celle di ‘Blu Punisher’ e di altri tipi di pasticche”, avverte il segretario, evidenziando come queste droghe moderne stiano trasformando le celle in trappole invisibili. È una piccola riflessione su quanto il progresso della criminalità renda sempre più difficile distinguere tra cura e pericolo, con farmaci come Orudis 200 o Contramal che vengono manipolati e abusati, dai cerotti alla morfina ai “francobolli” fatti in casa.

Al di là delle mura, questo traffico è legato a reti più vaste, orchestrate dalla criminalità organizzata, che controlla non solo gli scambi interni ma anche legami esterni tramite telefonini illeciti. “Intorno al traffico e all’uso di droga è sempre la criminalità organizzata a fare affari, controllando, come dimostrano numerose inchieste, le più grandi piazze di spaccio dentro e con l’uso dei telefonini fuori”, spiega il segretario, dipingendo un quadro di “Mafia 2.0” che si adatta ai tempi moderni. È inevitabile chiedersi se queste evoluzioni non stiano erodendo la fiducia nella giustizia, lasciando il personale penitenziario a combattere con risorse limitate.

E qui emerge una nota di polemica, un’empatica critica verso chi dovrebbe intervenire: “Restano insufficienti perché a mala pena e non in tutti gli istituti riescono a rimpiazzare i posti degli agenti in pensione”, sottolinea il segretario, puntando il dito contro l’Amministrazione Penitenziaria, il Governo e la politica. Sembra che, come le “tre scimmiette” che non vedono, non sentono e non parlano, le autorità preferiscano ignorare l’urgenza, lasciando agenti e detenuti in un limbo di abbandono. “È ancora più irresponsibile negare l’evidenza dei fatti e ripetere come una liturgia che ‘tutto va bene’, mentre i servitori dello Stato si sentono abbandonati ed umiliati dal datore di lavoro che dovrebbe dimostrare profonda riconoscenza per il loro sacrificio”. Il sindacato, però, non si arrende: “Noi non lo permetteremo”, promettendo una battaglia per portare alla luce queste ombre.

Alla fine, storie come questa ci ricordano come i problemi dei carceri non siano distanti dalle strade di Roma e delle altre città italiane, toccando famiglie e comunità nel profondo, e invitando a una riflessione su quanto ancora ci sia da fare per trasformare questi luoghi da fonti di sofferenza a spazi di vero riscatto.

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