Cronaca
Nel Rione Sanità, il clan Sequino-Savarese riafferma il suo dominio sul quartiere, influenzando la vita quotidiana della comunità
Nel cuore di Napoli, il Rione Sanità avvolto dall’ombra della camorra che non cede #Napoli #CamorraResiste
Immaginate di camminare tra i vicoli stretti e vivaci del Rione Sanità, un quartiere napoletano dove il chiacchiericcio della vita quotidiana si mescola con echi di un passato ingombrante. Qui, dopo gli arresti del 2019 che avevano lasciato un vuoto tra i clan di camorra, non è passato molto prima che l’ordine delle strade cambiasse di nuovo. Il clan Sequino-Savarese è tornato a tessere la sua rete, riaffermando un controllo che ha riportato la paura nei volti dei residenti, quelli che ogni giorno lottano per una normalità precaria in un contesto urbano segnato da alleanze sotterranee e tensioni sociali.
È come se una vecchia storia si fosse riscritta nei bassifondi: l’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Ivana Salvatore ha portato dietro le sbarre otto membri di questo clan, segnando un capitolo di un’indagine nata dalle tragiche morti di due giovani, Emanuele Tufano ed Emanuele Durante. Questi omicidi non sono stati solo atti di violenza isolati; hanno rappresentato un’escalation che ha fatto tremare il quartiere, ricordando a tutti quanto la camorra possa infiltrarsi nelle vite ordinarie, alterando il tessuto sociale di una comunità già provata.
Prima del 2019, il Rione Sanità era stato scosso da operazioni contro il clan Mauro, che sembravano promettere una pausa. Invece, quel silenzio è stato colmato da nuove figure, come Salvatore Savarese, detto ‘o Mellone, un nome che riecheggia l’eredità di un boss di un’altra era. Tornato in libertà, Savarese non ha agito da solo: si è alleato con il clan Mazzarella, ricevendo protezione e direttive che hanno permesso al gruppo di riorganizzarsi armato. Pensate a come questo abbia influenzato la quotidianità, con le piazze una volta vivaci che ora nascondono scambi illeciti di droga ed estorsioni, trasformando spazi di comunità in zone d’ombra.
In questa trama si intrecciano storie di legami familiari e vecchie fedeltà. Attorno a Savarese, uomini dal clan Sequino, radicato nel quartiere, hanno trovato un nuovo ruolo: Salvatore La Salvia, Luis Antonio Amodio, Gianluca Galeota, detto ‘o Pedofilo, Gennaro De Marino e Salvatore Matrone. Non semplici comparse, ma figure con un passato di condanne per associazione camorristica, che rafforzano un ciclo di continuità criminale difficile da spezzare. È una riflessione naturale su come, in quartieri come questo, le radici della malavita si nutrano di legami che vanno oltre le generazioni, lasciando la comunità a navigare tra paura e resilienza.
Poi arriva un twist, con la scarcerazione di Vincenzo Pirozzi, detto ‘o Picuozzo, un veterano della camorra, che inizialmente sfida i Mazzarella per reclamare il suo spazio. Ma come in una danza di alleanze, il suo gruppo finisce per unirsi a quello Sequino-Pellecchia, una fusione che emerge con chiarezza dalle intercettazioni. Tra il 2024 e il 2025, scarcerazioni a catena—da Luigi Esposito a Salvatore Pellecchia—hanno accelerato questa rinascita, riconquistando zone come via Santa Maria Antesaecula, un tempo roccaforte del clan.
Quelle conversazioni captate dagli investigatori catturano l’essenza di questa unione, rivelando un mondo dove le parole pesano come fatti. In una intercettazione ambientale, i familiari di Emanuele Durante descrivono un incontro carico di tensione con Savarese: “Che ti disse Totore? Che lui non sapeva niente. Che non sapevano niente. Mi fermò dietro la piazza… mi voleva fare le condoglianze e io non volli. Disse: ‘Tuo figlio non doveva morire, non si meritava quello che gli hanno fatto, però ti giuro che noi non sapevamo niente. Né io né il Picuozzo’.” La rabbia dei genitori è palpabile, un’emozione che risuona nelle strade: “‘Zeppole Anguille’ non sapevano niente? O cazz ch’è cagato! Voi comandate qua dentro e non sapevate niente?” E quando contestano l’alleanza, la risposta è netta: “Scusa, gli dissi io: io ho visto ‘o Picuozzo con questo Pellecchia, tutti uniti. Siamo una cosa sola.” Per gli inquirenti, è la prova di un controllo unitario che ha militarizzato il quartiere, un dettaglio che fa riflettere su quanto queste dinamiche criminali influenzino il senso di sicurezza collettiva.
Gli omicidi, come quello di Emanuele Durante, non erano solo vendette; erano messaggi cruenti per riaffermare il dominio, punendo chi osava sfidare le regole invisibili. In un quartiere dove ogni vicolo racconta storie di lotta e speranza, questo ha significato un passo indietro per la comunità, costretta a convivere con una paura che si insinua nelle conversazioni quotidiane. Oggi, gli arresti recenti offrono una prima breccia, ma la mappa criminale rimane fluida, un promemoria che la camorra è parte di un tessuto più ampio, dove il cambiamento è sempre possibile, ma richiede impegno condiviso.