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Cronaca

La giustizia affronta la Camorra: la DDA reclama 550 anni per la cupola Scissionisti

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La giustizia affronta la Camorra: la DDA reclama 550 anni per la cupola Scissionisti

Nel cuore di Napoli, la lotta alla camorra colpisce duro: una nuova cupola criminale rischia 550 anni di carcere. #Antimafia #Napoli

Immaginate l’alba che si diffonde su quartieri come Secondigliano, Melito e Arzano, dove le strade raccontano storie di comunità strette tra la quotidianità e l’ombra della criminalità. Qui, il clan Amato-Pagano, erede degli Scissionisti, ha tentato di ricostruire il suo impero, ma un’inchiesta antimafia meticolosa ha squarciato il velo, portando a un’aula di tribunale affollata di tensioni e speranze per un futuro più sicuro.

È stato un percorso lungo, costellato di intercettazioni, pedinamenti e confessioni che hanno dipinto un quadro vivido di una struttura criminale moderna e ramificata. Al centro di tutto, le sorelle Debora e Monica Amato, descritte dagli inquirenti come il fulcro decisionale di un’organizzazione che andava ben oltre il semplice controllo del territorio: un sistema capace di “formare” persino i minorenni affiliati, insegnando loro cosa dire, quando tacere e come affrontare un interrogatorio. Una vera e propria università del crimine, come è stata definita durante le udienze, che sottolinea quanto questa rete abbia intessuto le sue trame nella vita quotidiana, influenzando economie locali e famiglie intere.

Il blitz è scattato all’improvviso, con decine di arresti che hanno interrotto il flusso di attività illecite, dalle estorsioni al traffico di stupefacenti, passando per le intestazioni fittizie e il controllo delle aste giudiziarie. È un colpo che risuona nelle strade di questi sobborghi napoletani, dove la comunità lotta per scrollarsi di dosso l’eredità della camorra, e dove ogni vittoria giudiziaria porta un barlume di speranza. Ieri, in un’aula tesa e silenziosa, la Direzione distrettuale antimafia ha chiuso la sua requisitoria con richieste di condanne pesanti, totalizzando quasi 550 anni di carcere per 46 imputati.

Tra le pene più severe, quella per Debora Amato, vista come la mente strategica di questa “holding criminale”, con una richiesta di oltre quindici anni. Nomi come Enrico Bocchetti, Carlo Calzone e altri, intrecciati in questa rete, affrontano analoghe condanne, riflettendo l’ampiezza di un meccanismo che ha permeato la società locale, sottraendo risorse e opportunità alle persone oneste. È un momento che invita a riflettere su come questi clan non siano solo un problema giudiziario, ma un’erosione del tessuto sociale, dove ogni estorsione o traffico ruba un pezzo di futuro alle generazioni più giovani.

Ora, mentre la difesa si prepara a controbattere a un’accusa descritta come “granitica”, la comunità attende la sentenza del gip Villano. In fondo, questa storia è un promemoria che la battaglia contro la camorra va oltre le aule di tribunale: è una lotta per ridare voce e spazio a quartieri che meritano di più, un passo alla volta verso una Napoli più resiliente e unita.

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