Cronaca
In Castellammare, il caso di un’insegnante accusata di abusi sui minori coinvolge anche i genitori che hanno cercato giustizia per conto proprio
A Castellammare, l’ombra degli abusi a scuola sfocia in un processo atteso: la comunità tra rabbia e riflessione. #Castellammare #GiustiziaScolastica
Immaginate una mattina qualunque in una scuola di Castellammare di Stabia, dove le risate dei bambini e il suono delle campanelle si mescolano al traffico cittadino, in un quartiere vivo ma segnato da storie quotidiane di lotta e resilienza. Qui, tra le mura dell’istituto “Catello Salvati”, si è consumata una vicenda che ha sconvolto il tessuto sociale, portando alla fine delle indagini preliminari e all’apertura di un processo che nessuno vorrebbe affrontare.
Al centro di tutto c’è un’insegnante di sostegno di 38 anni, ora ai domiciliari, la cui storia personale si intreccia con accuse gravissime mosse dalla Procura di Torre Annunziata. Il GIP Emanuela Cozzitorto ha infatti disposto il rinvio a giudizio, accusandola di aver trasformato un ambiente di apprendimento in un luogo di sofferenze indicibili, con reati come maltrattamenti, violenza sessuale, induzione a atti sessuali e corruzione di minorenni. È un colpo al cuore per una comunità che vede la scuola come un pilastro, un rifugio dalle difficoltà urbane, eppure qui si è insinuata l’oscurità.
Gli eventi risalgono a circa un anno fa, ricostruiti dai Carabinieri di Castellammare attraverso audizioni protette, dove psicologi hanno offerto un sostegno delicato ai giovani testimoni. Tra le storie emerse, quella di un dodicenne che ha descritto momenti di terrore: costretto a un rapporto sessuale e a guardare video pornografici, in un contesto che fa riflettere su quanto la fiducia possa essere tradita. Ora, questa donna dovrà presentarsi in tribunale il 23 marzo 2026, un appuntamento che sottolinea come la ricerca di verità sia lenta, ma inevitabile, in una società dove i più vulnerabili meritano protezione sopra ogni cosa.
Non è solo la giustizia a prendere posizione; il Ministero dell’Istruzione si è schierato con forza, costituendosi parte civile attraverso l’Avvocatura dello Stato, un gesto che rafforza l’idea che le istituzioni debbano difendere i propri valori. Al loro fianco, le famiglie dei sette alunni coinvolti – assistite dall’avvocato Antonio De Martino – combattono per i loro figli, portando alla luce il trauma collettivo che ha colpito il quartiere, dove il chiacchiericcio tra vicini e le chat di gruppo amplificano il dolore.
L’altra faccia della rabbia
Ma questa storia ha un risvolto che aggiunge complessità, riflettendo il caos emotivo di una comunità in ebollizione. Le voci sugli abusi si sono diffuse rapidamente, trasformando la rabbia in azione impulsiva: un gruppo di undici persone, tra genitori e parenti, ha organizzato un raid punitivo nella scuola il giorno dopo la denuncia, un episodio che evoca l’atmosfera tesa delle strade locali, dove la frustrazione quotidiana può esplodere in gesti improvvisi.
Ora, questi undici individui dovranno rispondere in tribunale di lesioni aggravate, minacce, danneggiamento e interruzione di pubblico servizio, con aggravanti per aver agito contro un pubblico ufficiale e in presenza di minori. In quel momento di caos, l’insegnante ha subito ferite a un braccio, e paradossalmente, si trova ora dalla parte delle vittime, difesa dall’avvocato Francesco Cappiello. È una situazione che invita a una riflessione: mentre la “giustizia fai da te” nasce da un desiderio comprensibile di protezione, rischia di offuscare i principi della legge, trasformando le aule scolastiche in arene di vendetta anziché di educazione.
In fondo, storie come questa ricordano quanto sia fragile l’equilibrio tra comunità e istituzione, e come ogni atto di violenza, per quanto motivato, lasci cicatrici profonde su un intero territorio, spingendoci a chiederci cosa possiamo fare per proteggere davvero i nostri giovani in un mondo che non sempre offre risposte facili.