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Cronaca

Il Clan Amato-Pagano persiste: storie di affari, mesate e facce nascoste nella camorra

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Il Clan Amato-Pagano persiste: storie di affari, mesate e facce nascoste nella camorra

Il clan Amato-Pagano: una camorra che si reinventa tra le strade di Napoli, resistendo al tempo #CamorraNapoli #CrimineOrganizzato

Immaginate le strette vie di Scampia al tramonto, dove l’eco delle faide passate ancora risuona tra i palazzi affollati, e la vita quotidiana si intreccia con ombre che non si dissolvono facilmente. È in questo contesto urbano, segnato da decenni di tensioni sociali e lotte per il controllo, che il clan Amato-Pagano ha dimostrato una resilienza sorprendente, adattandosi a ogni colpo del destino come un albero che piega al vento senza spezzarsi.

Le sue radici affondano nel sangue della prima faida di Scampia, un conflitto brutale che ha ridisegnato il panorama criminale dell’area nord di Napoli. Nato dalla scissione dal potente clan Di Lauro, questo gruppo ha imparato a navigare tra alleanze e rivalità, crescendo all’ombra di quartieri come Secondigliano e Casavatore. Per gli inquirenti della Direzione distrettuale antimafia, non si tratta solo di una storia di crimini, ma di una rete umana capace di reinventarsi, cambiando nomi e facce, eppure mantenendo intatto il suo nucleo di potere.

L’ultima ordinanza cautelare, firmata dal gip Isabella Iaselli, non è mera burocrazia: è come una mappa vivente di un mondo sotterraneo, dove parentele strette tengono insieme un sistema di mesate – pagamenti regolari ai membri – e intestazioni fittizie che nascondono flussi di denaro e beni di lusso. Questa struttura ha resistito per vent’anni, superando arresti e sconfitte, e ha trovato forza nel suo cuore familiare, con figure femminili che emergono come pilastri inattesi, coordinando operazioni e garantendo continuità.

Nella sua ascesa, il clan è diventato il fulcro del “cartello scissionista”, dominando il traffico di cocaina, le estorsioni e il controllo delle piazze di spaccio. Espulso dai quartieri nel 2011, non ha ceduto: si è alleato con il clan Vinella Grassi, vinto una nuova faida e riaffermato il proprio dominio in comuni come Melito, Mugnano e Arzano. È un adattamento che evidenzia l’impatto profondo su queste comunità, dove il controllo criminale non è solo violenza, ma un’influenza quotidiana che mina il tessuto sociale, lasciando famiglie in bilico tra paura e dipendenza.

Al centro di tutto c’è un’organizzazione che va oltre la mera forza: è un sistema assistenziale che sostiene affiliati detenuti e le loro famiglie, un meccanismo che, secondo l’accusa, non è beneficenza, ma uno strumento di potere: pagare le famiglie significa garantire silenzio, fedeltà e coesione. Denaro che scorre attraverso carte prepagate intestate a prestanome, ricariche frammentate e beni come automobili sportive, tutto progettato per sfuggire agli occhi delle autorità. È una routine che, osservata da vicino, rivela una camorra moderna, più imprenditoriale che selvaggia, eppure sempre pronta a intimidire.

Tra le accuse spiccano tentativi di estorsione nel mondo delle aste immobiliari, un settore “pulito” che il clan cerca di infiltrare per espandere il suo impero. In un caso, le intercettazioni catturano il linguaggio crudo dell’intimidazione: richieste che partono alte e poi si riducono, sempre accompagnate dal richiamo all’appartenenza al clan. È un richiamo che evoca non solo paura, ma anche la pervasività di questa organizzazione, capace di inserirsi in ambiti apparentemente lontani dal crimine di strada.

Il clan non si limita a offendere; si difende attivamente, scoprendo e distruggendo microspie delle forze dell’ordine, un atto che simboleggia il loro controllo sul territorio e la consapevolezza di essere sempre osservati. Persino chi non è formalmente affiliato gioca un ruolo, offrendo case sicure per riunioni segrete, rafforzando così una struttura che si estende come una rete invisibile nella vita quotidiana della comunità.

In questo quadro, individui come Giulia Barra, Luigi De Blasio e altri emergono non come semplici nomi su un foglio, ma come pezzi di un puzzle umano, ciascuno con un compito che tiene in moto la macchina criminale. Da figure di collegamento per le mesate a guardiani del territorio, ciascuno contribuisce a una continuità che, negli occhi degli inquirenti, rende il clan non un relitto del passato, ma una forza viva e adattabile.

Una riflessione sul territorio e il cambiamento

Guardando oltre i fatti, è impossibile non riflettere su come questa storia tocchi il cuore delle periferie napoletane, dove la camorra non è solo un pericolo esterno, ma un’ombra che influenza opportunità e scelte. È un monito che, tra successi investigativi e persistenti sfide, ci ricorda come il crimine organizzato sappia evolversi, intrecciando affari illeciti con la vita delle persone, e perché fermarlo significhi proteggere non solo le strade, ma il futuro di intere comunità.

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