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Cronaca

Eroe di Napoli caduto: giustizia con 30 anni per Giovanni Rendina

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Eroe di Napoli caduto: giustizia con 30 anni per Giovanni Rendina

Quasi 40 anni fa, a Napoli, un eroe in uniforme perse la vita per proteggere la sua città: la giustizia ora chiude un capitolo doloroso. #Napoli #EroePoliziotto #GiustiziaTardiva

Immaginate una tranquilla giornata nel quartiere di Pianura, a Napoli, dove le strade affollate e i negozi storici raccontano la vita quotidiana di una comunità resiliente. Era il 6 dicembre 1986 quando, in pieno giorno, la gioielleria Romanelli divenne teatro di un incubo improvviso: due rapinatori armati irruppero nel locale, immobilizzando i proprietari e saccheggiando le vetrine con fredda determinazione. In quel momento, il destino incrociò le vite di una famiglia ordinaria con la violenza urbana che ancora oggi affligge certe periferie.

Fu allora che una giovane ragazza, appena quattordicenne e figlia del poliziotto Domenico Attianese, passò per caso davanti al negozio. Terrorizzata dal trambusto, capì subito che qualcosa di terribile stava accadendo e, con il cuore in gola, corse a casa per avvisare il padre, che viveva a pochi passi. Domenico, un uomo di 40 anni dedito al suo dovere, non esitò un istante: afferrò la sua pistola e si precipitò sul posto, mosso da un istinto protettivo che incarnava l’essenza di chi indossa una divisa in una città come Napoli, dove il senso di comunità spesso si scontra con pericoli nascosti.

Quello che seguì fu un confronto drammatico, una lotta corpo a corpo che simboleggia il prezzo pagato da tanti eroi locali. I rapinatori disarmarono Attianese e, in un attimo di caos assoluto, spararono a bruciapelo, portandolo via per sempre con un colpo alla testa. Per anni, questo atto di violenza rimase un’ombra senza risposte, un dolore sordo per la famiglia e per Pianura, dove la mancanza di giustizia aveva lasciato ferite aperte nella trama sociale. Il primo processo, nel 1996, finì con un’assoluzione che amplificò il senso di impotenza, riflettendo le complessità del sistema giudiziario in contesti urbani densi di storie come questa.

Ora, a quasi quattro decenni di distanza, la Corte d’Appello di Napoli ha confermato la condanna a 30 anni di carcere per Giovanni Rendina, uno dei responsabili, allineandosi alle richieste della Procura generale espresse lo scorso novembre. Questa decisione riecheggia anche la sentenza emessa lo stesso luglio 2024 contro l’altro imputato, Salvatore Allard, anch’egli condannato a 30 anni. In aula, l’avvocato Gianmario Siani, che rappresenta la moglie e le figlie di Attianese, ha ribadito con forza la necessità di questa conferma, underscoring the enduring weight of such tragedies on ordinary lives.

Ma oltre i verbali e le aule di tribunale, è il dolore dei familiari a emergere con maggiore umanità. Come ha espresso Carla Attianese, figlia del poliziotto, «Il vero ergastolo è quello a cui siamo condannati noi», una frase che cattura l’essenza di un lutto che il tempo non ha lenito, e che invita a riflettere su come eventi del genere segnino per sempre il tessuto di una comunità, ricordandoci che la giustizia, pur tardiva, è un passo verso la guarigione collettiva.

In fondo, storie come quella di Domenico Attianese non sono solo cronache di un crimine, ma echi di una Napoli che lotta per il suo futuro, dove ogni verdetto porta con sé una speranza moderata per le famiglie colpite e per le strade che continuano a pulsare di vita reale.

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