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Cronaca

Dal naufragio di Cutro, Domenico Sepe dona al Papa un’opera che unisce storie umane

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Dal naufragio di Cutro, Domenico Sepe dona al Papa un’opera che unisce storie umane

Un atto di speranza nato dal mare: quando l’arte guarisce le ferite del mondo. #Arte #Fede #Misericordia

Immaginate una sala solenne, dove l’aria è carica di storia e di silenzio reverenziale, e un artista porta con sé il peso di un tragico passato per incontrare il leader spirituale del nostro tempo. È qui, nell’intimità di un’udienza giubilare, che Domenico Sepe ha condiviso un momento profondo con Papa Leone XIV, offrendo una scultura monumentale che trasforma il dolore in un simbolo vivente di compassione. Realizzata con legno recuperato dal relitto del naufragio di Steccato di Cutro nel febbraio 2023, quest’opera alta quasi due metri – fusa in bronzo attraverso l’antica tecnica della cera persa – non è solo arte, ma un ponte tra la sofferenza collettiva e la redenzione umana, ricordandoci come il mare possa portare via vite, ma anche ispirare una rinascita.

Al cuore di questa creazione, il pastorale emerge dal legno spezzato dalle onde, evocando un senso di attesa e vuoto che risuona con le storie di chi ha affrontato il viaggio disperato del mare. Intorno, i frammenti della croce donati da don Pasquale Squillacioti intrecciano l’arte in un rituale più grande, trascendendo il mero estetico per abbracciare il sacro. Il mantello del Pontefice si fonde con il saio di San Francesco, dipingendo l’immagine di una Chiesa umile e essenziale, mentre i piedi poggiano su lastre bronzee che richiamano la roccia di Pietro e le Tavole della Legge – un richiamo potente al fondamento della fede e alla responsabilità che essa impone. In un contesto urbano segnato da migrazioni e lutti, come quelli che hanno toccato comunità costiere in lotta, questa opera invita a riflettere su come l’arte possa catturare l’essenza di un territorio ferito, trasformando il locale in un messaggio universale per tutti noi.

Non era solo Sepe a essere presente in quel momento emozionante; la sua famiglia, con i figli Angelo e Michele che hanno consegnato due versioni del Presepe – una in alluminio e l’altra in bronzo –, ha reso l’incontro un gesto corale, un passaggio di eredità che unisce generazioni. Ha aggiunto anche un bassorilievo in bronzo intitolato “Il Leone di San Pietro”, simbolo di vigilanza e forza interiore, rafforzando l’idea che l’arte non è un atto solitario, ma un legame che rafforza le comunità. In un’era dove le famiglie spesso navigano tra sfide personali e sociali, questa scena familiare nell’udienza sottolinea come la creatività possa essere un’ancora, un modo per condividere storie di resilienza e speranza che risuonano nelle strade e nei vicinati di tutti noi.

L’opera, intitolata “Franciscvs – Miserando atque eligendo”, va oltre un semplice omaggio al Pontefice, offrendo un’immagine di una Chiesa che cammina accanto agli emarginati, assumendo il dolore globale come un impegno personale. Non si tratta di un pezzo che consola o abbellisce; piuttosto, esso provoca domande, scolpito nella materia grezza del naufragio e nella tenerezza della misericordia, invitandoci a considerare come l’arte possa essere uno specchio per le nostre società divise, un promemoria gentile che il cambiamento inizia dal riconoscere le storie di chi è ai margini.

Le parole di Papa Leone XIV, pronunciate al termine dell’incontro, hanno toccato profondamente Sepe, ispirando una nuova direzione creativa con il titolo “Misericordia Pacis – La Pietà della Pace”, un’ulteriore esplorazione di fede, arte e guarigione. Attraverso questi gesti, Sepe non fa altro che ribadire il ruolo dell’artista come sentinella del nostro tempo, capace di convertire il lutto in un linguaggio universale che unisce persone e luoghi, lasciando aperta la porta a infinite riflessioni su come l’umanità possa sempre trovare luce nelle ombre del passato.

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