Cronaca
Confisca DIA a Napoli: 6 milioni a imprenditore legato ai Belforte per affari nel calcestruzzo e camorra
La camorra perde un pezzo: DIA confisca 6 milioni a un imprenditore casertano legato ai Belforte, un duro colpo al business del calcestruzzo! #Antimafia #CasertaResiste #LottaAllaCamorra
Nella pianura casertana, dove il cemento racconta storie di crescita e ombre di corruzione, la Direzione Investigativa Antimafia di Napoli ha sferrato un altro attacco alle radici della camorra. Immaginate un imprenditore del settore calcestruzzo, figura chiave in un’economia locale che costruisce palazzi e ponti, ma anche reti invisibili di estorsioni. Proprio qui, in questa terra fertile di contraddizioni, è scattata la confisca definitiva di beni per 6 milioni di euro, confermata dalla Cassazione dopo anni di indagini che hanno esposto il lato oscuro del business.
Cosa è successo
Le indagini, avviate nel 2014 dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli e supportate da collaboratori di giustizia, hanno rivelato un impero costruito su basi fragili. L’imprenditore, attivo nella produzione, vendita e trasporto di calcestruzzo nella provincia di Caserta, si è visto strappare quote societarie in imprese del settore immobiliare e calcestruzzo, 34 fabbricati, 2 terreni e vari conti bancari. Tutto questo vale circa 6 milioni, un patrimonio che non quadrava con i redditi dichiarati, segno di un arricchimento illecito ben radicato nel territorio.
Il legame con il clan Belforte
Quello che rende questa storia particolarmente allarmate è il legame profondo con il clan Belforte di Marcianise, una delle famiglie camorristiche più influenti nell’area casertana. Le inchieste hanno evidenziato la “pericolosità qualificata” dell’imprenditore, non solo per la sua ricchezza sproporzionata, ma per i suoi stretti rapporti con i boss locali. In un contesto dove la camorra si intreccia con l’economia quotidiana, questa connessione minaccia il tessuto sociale, sottraendo opportunità a chi gioca pulito e imponendo un’ombra su un territorio già segnato da decenni di lotta.
Il sistema delle estorsioni
Il meccanismo era collaudato e crudele: attraverso la sua azienda, l’imprenditore orchestrava estorsioni sofisticate. Si trattava di sovrafatturazione per creare fondi neri destinati al pizzo, o di mediazione diretta tra vittime e clan, organizzando incontri per definire “accordi” estorsivi. In certi casi, era persino gli imprenditori stessi a cercare aiuto, chiedendo indicazioni su come “mettersi a posto” con i camorristi. Questa pratica, diffusa nel Casertano, non è solo un crimine, ma un virus che erode la fiducia e il senso di comunità in un’area dove ogni cantiere potrebbe nascondere un ricatto.
Perché riguarda la città
Per chi vive a Caserta, questa confisca è più di un’operazione di polizia: è un segnale di speranza in una regione dove la camorra ha a lungo inquinato il settore edile, diventando un concorrente sleale che distorce il mercato e minaccia la sicurezza. Aggredire questi patrimoni illeciti significa proteggere le piccole imprese oneste, quelle che faticano a competere senza piegarsi al pizzo, e restituire un po’ di integrità a un paesaggio urbano segnato da crescita irregolare e abbandono.
In una terra come questa, dove il progresso e la criminalità danzano in un equilibrio precario, operazioni come questa ricordano che la vera forza sta nella comunità che resiste. È un passo verso un Caserta più libera, dove il cemento non è solo profitto, ma simbolo di un futuro pulito e condiviso.