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Cronaca

Clan Angelino, camorra: otto condanne, “Tibiuccio” a 10 anni e un’unica assoluzione.

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Clan Angelino, camorra: otto condanne, “Tibiuccio” a 10 anni e un’unica assoluzione.

Il clan Angelino barcolla: otto condanne contro la camorra a Caivano, ma la lotta per il territorio è tutt’altro che vinta #Camorra #Caivano #Giustizia

Nella periferia di Caivano, dove le strade raccontano storie di resilienza e ombre minacciose, la giustizia ha sferrato un colpo significativo contro il clan Angelino, un gruppo che per anni ha estorto, intimidito e controllato il tessuto quotidiano della comunità. Otto condanne e una sola assoluzione non solo segnano una vittoria parziale nelle aule del tribunale, ma anche un momento di riflessione su come la camorra continui a intrecciarsi con la vita locale, soffocando sogni e imprese in nome del potere.

Cosa è successo

Il giudice per le indagini preliminari ha accolto gran parte delle accuse della Direzione Distrettuale Antimafia, condannando otto membri del clan per associazione mafiosa, estorsioni e tentate estorsioni avvenute tra il 2021 e il 2022. Eppure, le pene imposte sono risultate più leggere di quanto richiesto dal pubblico ministero, evidenziando le complessità di un sistema giudiziario che deve bilanciare prove e circostanze. Questo blitz non è solo un’operazione di routine; è un capitolo di una saga più ampia, dove armi come Kalashnikov e racket sistematici hanno trasformato Caivano in un’arena di controllo criminale, con il boss Antonio Angelino al centro del palcoscenico.

Perché riguarda la città

Caivano, un angolo vibrante della Campania segnato da una storia di emigrazione e lotte economiche, si trova da decenni sotto il peso di organizzazioni come quella di Angelino, che sfruttano il tessuto urbano per alimentare traffici illeciti e una “geografia del pizzo” che colpisce negozi, imprese e persino famiglie. Questa sentenza non è solo un fatto legale; è un segnale per una comunità stanca, dove il racket ha reso la vita quotidiana un campo minato. Qui, tra i vicoli affollati e le piazze un tempo vivaci, la camorra non è un’astrazione, ma una presenza tangibile che erode fiducia e opportunità, ricordandoci come il crimine organizzato si nutra delle fragilità territoriali per perpetuare il suo dominio.

Le voci dal dentro: il ruolo del pentito

Al cuore della vicenda ci sono le testimonianze di Giovanni Barra, un collaboratore di giustizia che ha dipinto un quadro vivido della macchina estorsiva del clan. Barra ha descritto un incontro cruciale del 6 luglio 2023, quando il latitante Angelino, armato e furioso, reclamava quanto gli era dovuto. “Angelino incassava 20mila euro al mese in latitanza”, ha rivelato, sottolineando come questo denaro fosse una linfa vitale derivata da droga ed estorsioni. Ancora più rivelatore è stato il suo racconto: “Angelino non aveva bisogno della lista delle estorsioni: conosceva a memoria tutte le vittime che dovevano pagare”. Dopo l’arresto del boss, Barra ha ammesso di aver preso le redini, ritirando la lista dal fidato Assunta Reccia e assicurando la continuità del racket. “Le dissi: ‘Adesso qui ci siamo noi’. Doveva parlare con me, ero io il referente di Angelino”. E in un tentativo di riorganizzazione, “Proposi ad Angelino di occuparmi io di tutte le estorsioni: avrei sistemato il paese e gli avrei mandato 30.000 euro al mese”. Queste parole, intrise di realismo crudo, offrono uno sguardo umano sul mondo sotterraneo della camorra, dove lealtà e tradimento si intrecciano, e i testimoni come Barra diventano ponti fragili verso la verità.

Le condanne e il loro peso

La lista delle pene inflitte racconta una storia di accountability parziale: Giovanni Cipolletti a 13 anni, Antonio Angelino a 10 anni e 6 mesi (contro una richiesta di 18 anni), Michele Leodato a 8 anni e 8 mesi, Ferdinando Sorvillo e Gaetano Angelino a 8 anni e 2 mesi ciascuno, Aniello Leodato a 8 anni (rispetto ai 12 richiesti), Raffaele Lionelli a 8 anni, e Massimiliano Volpicelli a 5 anni e 2 mesi. Solo Ferdinando Grimaldi Capitello è stato assolto, un esito che solleva domande sul labirinto delle prove. Queste condanne, sebbene più leggere del previsto, ritraggono un clan ramificato e resiliente, capace di mantenere il controllo anche in tempi di latitanza, e invitano a riflettere su come Caivano stia lottando per liberarsi da un’eredità criminale che si rinnova generazione dopo generazione.

Mentre la città guarda avanti, questa sentenza non è solo un capitolo chiuso, ma un invito a rafforzare le difese comunitarie contro la camorra, ricordando che la vera vittoria arriverà solo quando il territorio di Caivano potrà respirare libero, lontano dalle ombre del passato.

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