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Cronaca

A Napoli, il call center delle truffe e il suo ingegnoso meccanismo quotidiano

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A Napoli, il call center delle truffe e il suo ingegnoso meccanismo quotidiano

Un call center nascosto nel cuore di Napoli che sfrutta la paura degli anziani: storie di inganni familiari e solitudine. #TruffeAgliAnziani #SicurezzaItalia

Immaginate una stanza affollata nel centro storico di Napoli, dove le voci al telefono si intrecciano come fili di una ragnatela invisibile, tesa per avvolgere anziani soli in tutta Italia. Qui, un’organizzazione ben oliata ha trasformato la paura e la solitudine in strumenti di preda, colpendo al cuore i legami familiari che per molti rappresentano l’ultimo rifugio. L’ordinanza cautelare del giudice Federica Colucci ha svelato questa rete, ordinando misure contro più di venti persone accusate di associazione a delinquere per truffe aggravate, ricettazione e riciclaggio, un colpo che rispecchia le fragilità della nostra società.

Al centro di tutto c’è questo “call center criminale”, una vera e propria fabbrica di inganni che opera ogni giorno con precisione chirurgica. Qui, le telefonate partono come onde in un mare invisibile, selezionando vittime vulnerabili tra gli anziani isolati, spesso estratti da vecchi elenchi telefonici. È un processo che inizia con una chiacchierata apparentemente innocua, trasformandosi in un vortice di emozioni: i truffatori verificano l’età e la solitudine dell’interlocutore, poi “segnano” il numero per il prossimo atto. In questo contesto urbano, dove Napoli pulsa di vita e contrasti, si nasconde un lato oscuro che amplifica le disuguaglianze, ricordandoci quanto la tecnologia possa essere usata per sfruttare chi è già ai margini.

Il meccanismo è un gioco crudele di psicologia e pressione: prima, un telefono che squilla con la voce di chi si finge un maresciallo o un avvocato, raccontando una storia inventata di incidenti e pericoli per un familiare amato. “L’unica via d’uscita, secondo i truffatori, era il pagamento immediato di una ‘cauzione’ in denaro o la consegna di gioielli come ‘pegno simbolico’, per evitare il carcere al familiare”, spiegano i dettagli dell’inchiesta. Le vittime vengono tenute in ostaggio al telefono, isolate da amici e parenti, mentre altri familiari sono distratti con urgenze fasulle. È un isolamento che non è solo fisico, ma emotivo, un riflesso della solitudine che affligge tante comunità, dove gli anziani spesso diventano bersagli facili in un mondo sempre più connesso ma sempre meno umano.

Infine, entra in scena il “trasfertista”, un volto anonimo che bussa alla porta fingendosi un’autorità, pronto a raccogliere il denaro o i gioielli con coordinate precise inviate via WhatsApp. Questa struttura piramidale, con un vertice che pianifica ogni mossa, mostra come un’organizzazione criminale possa mimetizzarsi nella quotidianità: ci sono i capi come Alessandro D’Errico e Antonietta Mascitelli, che dirigono il tutto con precisione militare, gestendo persino i dettagli logistici come noleggi e utenze fittizie. Poi, le telefoniste come Carmela Mascitelli e Assunta Olisterno, che tessono la prima rete di inganni con centinaia di chiamate al giorno. E non dimentichiamo figure come Maria Robustelli, che trasforma la propria casa in una base operativa, o Giovanni D’Errico, una voce di esperienza che lega generazioni in un cerchio di illegalità. Ognuno ha un ruolo, dal reclutatore Tommaso Di Balsamo ai trasfertisti come Capretti e Marchese, che viaggiano per l’Italia portando a termine il colpo finale.

Ma è l’impatto sulla comunità che lascia un segno duraturo: questi atti non sono solo crimini, ma ferite che esponono la vulnerabilità degli anziani, spesso lasciati soli in quartieri vivaci come quelli di Napoli. Persone come Fabio D’Anna, che si occupa di riciclare i beni rubati, o Carolina Esposito, il corriere che trasporta il bottino, completano un ciclo che reinveste il guadagno in attività nascoste. Riflettendo su tutto questo, ci si chiede come proteggere chi ha costruito le nostre comunità, in un’era dove la fiducia è sempre più fragile.

Questa indagine non è solo una vittoria della giustizia, ma un invito a riflettere su quanto la solitudine possa renderci tutti più esposti, spingendo verso una società più attenta e solidale.

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