Cronaca
A Napoli, deputato Borrelli subisce aggressione in piazza e affronta 15 giorni di recupero sociale e personale
Un deputato in prima linea contro la camorra: l’aggressione nel cuore di Napoli #Napoli #Camorra
Immaginate di camminare per le strette vie di Napoli, dove l’aria è carica di storia e tensioni, tra il vivace trambusto di Piazza Cavour e il Rione Sanità, un quartiere che pulsa di vita ma anche di ombre profonde. Proprio qui, Francesco Emilio Borrelli, deputato di Alleanza Verdi e Sinistra, si era avventurato con il consigliere Lorenzo Pascucci per un sopralluogo, deciso a documentare le illegalità che infestano le strade, dai rifiuti abbandonati alle auto parcheggiate in modo caotico. Era un gesto semplice, un passo verso la normalità, ma in questi luoghi, la normalità è fragile, e ciò che sembra routine può trasformarsi in un confronto pericoloso.
Improvvisamente, la scena si è animata in modo drammatico: una donna, legata alla famiglia di Emanuele Tufano – il quindicenne tragicamente ucciso in una sparatoria tra bande rivali nell’ottobre del 2024 – ha affrontato Borrelli con rabbia incontrollata. L’ha colpito con forza al volto, urlando minacce di morte che echeggiavano tra i palazzi, mentre gli agenti della scorta intervenivano prontamente per bloccarla, trasformando il momento in un caos di voci e sirene. Borrelli, ferito ma determinato, ha riportato una frattura chiusa alle ossa nasali e un trauma al bulbo oculare, con una prognosi di quindici giorni – un prezzo alto per chi cerca di sfidare l’ordine consolidato.
In questo episodio, riecheggiano le parole dello stesso Borrelli, che riflettono su una realtà più ampia: “Quello che è accaduto dimostra quanto sia profondo il radicamento di una cultura criminale che coinvolge intere famiglie e cresce i ragazzi nella convinzione che la violenza sia normale, legittima, persino da difendere”. È una denuncia che fa pensare a come, in quartieri come il Rione Sanità, i giovani vengano spesso intrappolati in un ciclo senza via d’uscita, dove l’odio verso le istituzioni diventa un’eredità familiare. “Troppi giovani vengono allevati senza alternative, educati all’odio verso le istituzioni e spinti a identificarsi con la carriera criminale. Quando finiscono in carcere o muoiono si grida allo scandalo, ma raramente ci si interroga sulle responsabilità di chi li ha formati, sostenuti e incitati”, aggiunge, invitando a una riflessione su chi realmente alimenta queste dinamiche.
Questo non è un caso isolato, ma un capitolo di una storia più lunga di violenza legata alla camorra. Emanuele Tufano perse la vita in una “stesa” non autorizzata, un conflitto a fuoco con un gruppo rivale di Piazza Mercato, e solo mesi dopo, Emanuele Durante, un ventenne, cadde in una rappresaglia collegata. È un tessuto urbano segnato da questi eventi, dove chi osa rompere il silenzio paga un prezzo: “Chi rompe questo schema viene colpito, intimidito, cacciato. È successo a chi ha denunciato sparatorie e violenze, è successo a vittime innocenti costrette ad abbandonare il quartiere”. L’aggressione a Borrelli, come ha sottolineato, “è l’ennesima prova di un metodo basato sull’intimidazione”, un metodo che lascia il quartiere in bilico tra paura e resilienza.
Il giorno prima, i Carabinieri avevano condotto un blitz nel Rione Sanità, arrestando otto persone per detenzione illegale di armi con finalità mafiose e rimuovendo un’edicola votiva abusiva dedicata a Emanuele Tufano, simbolo di un potere invisibile. Borrelli commenta con amarezza: “Quando questi ragazzi vengono arrestati, feriti o uccisi la responsabilità è soprattutto di chi avrebbe dovuto educarli alla legalità e invece li ha spinti verso la carriera criminale. I veri assassini sono spesso i loro stessi parenti, pronti a scendere in strada e a mettere a ferro e fuoco la città per difendere delinquenti armati, ma incapaci di spendere una parola per le vere vittime”. È una critica che invita a considerare quanto queste operazioni, per quanto necessarie, debbano essere seguite da un impegno costante.
Alla fine, Borrelli ha affermato: “La mia aggressione è la conferma dei loro metodi. Bene i blitz e la rimozione dei simboli intimidatori, ma lo Stato deve restare presente ogni giorno. Senza continuità, questi territori tornano immediatamente nelle mani della criminalità”, e ha espresso gratitudine per il supporto ricevuto. In quartieri come questi, ogni piccolo gesto di resistenza racconta una storia più grande, quella di una comunità che lotta per ritrovare il suo equilibrio, ricordandoci che la vera sfida è costruire un futuro dove la legalità non sia un’eccezione, ma la norma.