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Cronaca

Traffici illeciti ai confini: migranti pagavano fino a 10mila euro per l’ingresso, 25 indagati nel Paese.

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Traffici illeciti ai confini: migranti pagavano fino a 10mila euro per l’ingresso, 25 indagati nel Paese.

#BlitzAntimafia a Bologna: Smantellata rete di immigrazione illegale, 25 indagati per sfruttare il “decreto Flussi” #BolognaUnderAttack #ImmigrazioneClandestina

In una Bologna che si sveglia tra le nebbie autunnali e le sfide quotidiane dell’emigrazione, un’operazione della Procura locale ha sferrato un colpo duro a un’organizzazione criminale che ha trasformato il nostro sistema di accoglienza in un bancomat illegale. Come cronista del territorio, non posso fare a meno di riflettere su come queste storie, nate da denunce di routine, rivelino le crepe di un meccanismo che dovremmo difendere con più vigore. Qui, in Emilia-Romagna, dove l’economia ruota intorno al lavoro stagionale e alla forza di chi arriva da lontano, ci troviamo di fronte a un abuso che non solo arricchisce i furbi, ma erode la fiducia nei percorsi legali.

Il blitz è scattato all’alba, coordinato dalla Procura di Bologna e condotto dalla Squadra Mobile locale, dal Commissariato di Imola e dal Reparto Prevenzione Crimine dell’Emilia Romagna Orientale. Il risultato? Sette ordinanze di custodia cautelare eseguite, con un totale di 25 persone finite nel mirino dell’inchiesta. È un numero che fa riflettere: in una regione come la nostra, dove le reti sociali sono strettissime, come è possibile che un simile giro d’affari prosperi sotto il naso di tutti?

Tutto ha preso il via da una semplice denuncia per truffa, presentata all’Ufficio Immigrazione di Bologna nel dicembre 2022. Un cittadino aveva sborsato 200 euro a una società di Imola per ottenere nulla osta per lavoro stagionale destinati a stranieri, ma poi è sparito nel vuoto, senza alcuna risposta. Da lì, gli investigatori hanno iniziato a scoperchiare un vaso di Pandora, smascherando un sistema che sfruttava il “decreto Flussi” per far entrare in Italia persone in cambio di soldi. Come locale, mi chiedo: quante volte abbiamo visto queste promesse false circolare nei nostri mercati o nei bar di periferia, dove la disperazione di chi cerca un futuro si scontra con l’avidità di pochi?

Le indagini hanno puntato i riflettori su una società multiservizi, registrata come Caf, con basi a Imola e ramificazioni in Romagna e Marche. La Procura ha iscritto 25 individui nel registro degli indagati, accusati di associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, truffa aggravata ai danni dello Stato e falso ideologico. Il Gip di Bologna non ha perso tempo: carcere per il capo del gruppo, domiciliari per cinque collaboratori e obbligo di firma per altri due. È una misura che, nel nostro contesto, dove le famiglie sono intrecciate e le storie personali pesano, potrebbe scuotere intere comunità locali.

Gli accertamenti hanno portato alla luce centinaia di domande presentate sui portali della pubblica amministrazione con documenti falsi, datori di lavoro inventati o inconsapevoli, e nulla osta all’ingresso in Italia creati ad arte, senza passare dalle Ambasciate competenti. Grazie a intercettazioni telefoniche, ambientali e telecamere piazzate nelle sedi della società, è emerso il vero volto di questa macchina: reclutamento di stranieri, uso di passaporti contraffatti, riunioni segrete e divisioni di profitti in contanti. Qui, tra le strade di Bologna e Imola, dove il multiculturalismo è una realtà quotidiana, questo meccanismo non fa altro che alimentare sospetti e divisioni.

Al vertice della banda c’era un 51enne con un curriculum da pluripregiudicato, supportato dai suoi figli di 32 e 24 anni, da un’amica di famiglia di 62 anni e da un socio di 30 anni. Tra i gregari, spiccavano un imprenditore edile albanese di 57 anni, radicato a Imola, e un marocchino di 56 anni specializzato nel reclutare bengalesi a Bologna. È una composizione che rispecchia il melting pot della nostra regione, ma vista da questa angolazione, fa male: questi individui, alcuni integrati nella nostra società, hanno tradito la fiducia che Bologna offre a chi arriva con intenzioni oneste.

In fondo, questa inchiesta non è solo un trionfo delle forze dell’ordine, ma un campanello d’allarme per tutti noi. In Emilia-Romagna, dove le normative sull’immigrazione spesso arrancano di fronte alla realtà del lavoro precario e delle migrazioni forzate, operazioni come questa evidenziano le falle che permettono a gruppi criminali di prosperare, a scapito della sicurezza e dell’integrità dei canali legali. È tempo che, come comunità, riflettiamo su come rafforzare questi sistemi, per evitare che storie del genere diventino la norma in un territorio che ha sempre accolto, ma non può permettersi di essere sfruttato.

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