Cronaca
Processo Vassallo: il pm rompe gli indugi con accuse chiare, “Basta silenzi ora” per la verità locale.
#GiustiziaRitardata: Nel processo Vassallo, il PM denuncia la ‘mancanza di umanità’ che affligge il nostro Cilento
Qui a Salerno, dove le storie di coraggio e corruzione si intrecciano come le strade che lambiscono il mare, il processo per l’omicidio di Angelo Vassallo – il Sindaco Pescatore di Pollica, freddato con nove colpi di pistola il 5 settembre 2010 – ha raggiunto un nuovo, amaro apice. Come cronista locale, cresciuto tra queste colline e questi paesini del Cilento, non posso fare a meno di vedere in questa udienza un riflesso doloroso delle nostre dinamiche territoriali: un misto di silenzi complici e ritardi istituzionali che continuano a macchiare la memoria di chi ha lottato per la legalità.
Al Tribunale di Salerno, il Pubblico Ministero ha pronunciato parole che, per chi vive qui, suonano come un’eco dei nostri fallimenti collettivi: “Non abbiamo trovato omertà, ma mancanza di umanità.” Questa dichiarazione non è solo un dato processuale; è un’accusa tagliente che interpella l’anima del nostro territorio, dove la difesa dell’ambiente e della trasparenza, come quella di Vassallo contro l’abusivismo e il traffico di droga, spesso rimane isolata. Riflettendoci, da osservatore del Cilento, mi chiedo quanto questa “mancanza” sia radicata nelle nostre comunità, dove gli interessi oscuri si mescolano alla vita quotidiana, lasciando sole le voci oneste.
Il PM ha poi richiesto il rinvio a giudizio per tutti gli imputati coinvolti: il colonnello dei carabinieri Fabio Cagnazzo, l’imprenditore Giuseppe Cipriano, l’ex collaboratore di giustizia Romolo Ridosso – accusato di aver orchestrato un depistaggio in combutta con Cagnazzo – e l’ex carabiniere Lazzaro Cioffi, legato al clan Fucito. Come qualcuno che conosce bene le ombre di queste zone, non posso ignorare come questi nomi evocino le vecchie reti di potere che infestano il nostro Sud: connivenze tra forze dell’ordine, criminalità e affari illeciti, che Vassallo aveva osato sfidare, pagando con la vita.
La Fondazione Angelo Vassallo Sindaco Pescatore, voce instancabile di questa battaglia, ha risposto con l’indignazione che meritano quattordici anni di attesa. Il Presidente, Dario Vassallo, fratello di Angelo, ha rotto gli argini del silenzio accumulato: “Non è più tempo di silenzi. La nostra terra, i cittadini e la memoria di Angelo meritano rispetto. Angelo è stato lasciato solo, prima e dopo la sua uccisione. Il Sistema Cilento ha imbrigliato anche le coscienze. Lo Stato dimostri umanità e responsabilità.” Queste parole, per me che ho visto come il “Sistema Cilento” – quel groviglio di clientele e omertà – abbia corroso le nostre istituzioni, sono un grido di realtà. È come se Dario stesse ricordando a tutti noi che la solitudine di Angelo non era casuale, ma il risultato di un clima dove denunce coraggiose vengono soffocate da inerzie burocratiche e protezioni sotterranee.
Dario non si ferma qui, chiedendo un’azione immediata: “Serve un segnale concreto: accelerare le indagini e far arrivare la giustizia senza ulteriori ritardi. Inerzia e silenzi non possono più calpestare chi ha sacrificato tutto per il bene comune.” È un appello che risuona profondamente nelle nostre comunità, dove il traffico di droga e l’abusivismo continuano a prosperare, minando la bellezza del nostro litorale. Come cronista locale, mi sento di sottolineare quanto questo ritardo non sia solo un torto ai familiari, ma un tradimento verso tutti quei cittadini che, come Angelo, sognano un Cilento libero da questi vincoli.
A rincarare la dose è il Vicepresidente della Fondazione, Massimo Vassallo, che ribadisce: “Il Sistema Cilento è uno Stato nello Stato.” Questa frase, carica di critica, mi porta a riflettere su come, nel nostro territorio, strutture parallele abbiano spesso ostacolato la giustizia, ritardando Commissioni Antimafia e indagini. Massimo chiede che questi organismi procedano con urgenza, perché in gioco non c’è solo un processo, ma la salute della nostra comunità, la sua legalità e la memoria di un uomo che rappresentava il meglio di noi.
La Fondazione ha annunciato che parteciperà a ogni udienza, non come un mero rito, ma come atto di vigilanza: “La giustizia è un dovere morale e civico verso la comunità. La verità non può attendere oltre.” In un contesto come il nostro, dove il senso di comunità è forte ma fragile, questa presenza è un monito: la verità non è un optional, è il collante che tiene insieme il tessuto sociale. L’omicidio di Angelo, infatti, rimane una ferita aperta, un simbolo di come la lotta per la trasparenza possa costare cara, e di come lo Stato debba finalmente assumerne la responsabilità, per risanare il rapporto con i suoi cittadini. Qui, nel Cilento, sentiamo ancora l’eco di quella mancanza di umanità, e speriamo che questa udienza sia l’inizio di un vero cambiamento.
