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Cronaca

Processo alla camorra vesuviana: 21 legati ai Mazzarella di fronte al giudice, un passo contro il clan locale.

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Processo alla camorra vesuviana: 21 legati ai Mazzarella di fronte al giudice, un passo contro il clan locale.

#CamorraVesuviana: Il processo ai clan rinviato, ma l’ombra del crimine resta su Somma e Sant’Anastasia

In un territorio come il Vesuviano, dove la camorra è una piaga che si rigenera come la lava di un vulcano, è partito e subito slittato al 17 dicembre il processo abbreviato per due clan legati al potente gruppo Mazzarella. Seduti di fronte al gup Francesca Bardi del Tribunale di Napoli, gli imputati di queste reti criminali si trovano accusati di aver manovrato affari illeciti tra Somma Vesuviana e Sant’Anastasia, due comuni che, nonostante le belle facciate, continuano a convivere con il veleno del racket e delle estorsioni. Come giornalista locale, non posso fare a meno di riflettere su quanto questo rinvio non sia solo una pausa burocratica, ma un’ulteriore dimostrazione di quanto la giustizia debba lottare contro una macchina ben oliata di corruzione e paura.

In quel giorno di dicembre, l’udienza si concentrerà sulle eventuali dichiarazioni degli imputati, prima di spostarsi al 21 gennaio 2026 per la possibile requisitoria e le richieste di condanne. È un calendario che, per chi vive qui, suona come un’eco lontana di problemi immediati: la vita quotidiana nei vicoli di Somma e Sant’Anastasia resta segnata da intimidazioni e silenzi imposti. Queste indagini, nate dal lungo lavoro congiunto della DDA di Napoli, dei carabinieri e della guardia di finanza, dipingono un quadro allarmantemente familiare, dove il crimine non è un’eccezione, ma una costante che erode il tessuto sociale.

Somma Vesuviana: il gruppo De Bernardo e il legame con i Mazzarella
Qui, nel cuore di Somma, la malavita forma una tela intricata che si estende fino a Napoli. Al centro c’è Giovanni De Bernardo, una figura emblematica del clan locale, visto come un pilastro per i Mazzarella. Le accuse sono gravi: associazione mafiosa, aggravata da metodi camorristici, con il gruppo che avrebbe imposto un dominio assoluto. Pensateci: commercianti costretti a pagare il “pizzo”, introiti illeciti divisi con rigore, e una gerarchia interna che usa violenza e minacce per mantenere il controllo. Dalle intercettazioni emergono legami chiari con i Mazzarella – forniture di armi, alleanze strategiche, e interventi per risolvere dispute. Non è solo cronaca, è la realtà di un territorio dove il pizzo non è un relitto del passato, bensì una tassa quotidiana che soffoca le piccole imprese. Come locale, mi chiedo quanto ancora dovremo aspettare per vedere questi meccanismi spezzati, vista la rassegnazione che serpeggia tra la gente.

Le imputazioni vanno oltre l’affiliazione: diversi accusati devono rispondere di estorsioni specifiche, detenzione illegale di armi, minacce e persino colpi d’arma sparati come avvertimenti. È un copione che conosco bene, avendo visto come questi atti non solo terrorizzino, ma rafforzino un ciclo di intimidazione che scoraggia denunce e alimenta il silenzio. Per me, che vivo queste dinamiche, è evidente come il Vesuviano paghi il prezzo di una camorra che si adatta, mescolando affari locali con connessioni più grandi.

Sant’Anastasia: il clan Anastasio e il controllo del territorio
Passando a Sant’Anastasia, il quadro si ripete, con il clan Anastasio – guidato da Salvatore e Giovanni Anastasio – che esercitava un’influenza pervasiva, legata a famiglie di Napoli Est e del Miglio d’Oro. Qui, il controllo criminale era sistematico: estorsioni a commercianti e imprenditori, violenze per imporre la legge del più forte, e un network interno che gestiva riscossioni, armi e alleanze. Le indagini hanno catturato episodi di tentate estorsioni, danneggiamenti con armi da fuoco e intimidazioni contro chi osava opporsi.

Come cronista del posto, non posso ignorare quanto questo “controllo stabile e radicato” – come lo definisce la Procura – abbia condizionato la vita qui. Ruoli definiti all’interno del clan, con qualcuno a gestire i soldi sporchi e altri a curare i contatti esterni, creano un sistema che va oltre il singolo reato. È una rete che prospera sul silenzio, alimentata dalla paura di ritorsioni. Nel mio territorio, questo significa comunità divise, economie asfissiate e una resistenza quotidiana da parte di chi cerca di opporsi senza clamore.

Ora, spetta al processo stabilire le responsabilità, ma la lista di accuse racconta una storia chiara: un’area ancora imprigionata dal potere dei clan e dalla lotta di chi prova a spezzare questa catena. Guardando all’elenco degli imputati, nomi come Raffaele Anastasio, Rosario De Bernardo e Salvatore Di Caprio non sono solo sigle su un foglio; rappresentano volti noti in un contesto dove la camorra è una eredità persistente. È un campanello d’allarme per noi locali: senza un impegno collettivo, dal basso, questi processi rischiano di essere solo un capitolo in un libro che non finisce mai.

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