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Cronaca

Nella terra della Camorra: un pentito svela la fuga di Pompilio in Spagna per timore di Bocchetti.

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Nella terra della Camorra: un pentito svela la fuga di Pompilio in Spagna per timore di Bocchetti.

#CamorraInFuga: Tradimenti e Paure nel Cuore della Napoli Sotterranea – Quando i Clan Tremano per un Soffio

Napoli, la città che vive di contrasti, dove le storie di camorra si intrecciano con la vita quotidiana come le strette vie del centro storico, ci regala un altro capitolo di quella cruda realtà che conosciamo fin troppo bene. In questo territorio, dove i patti di sangue si siglano nei vicoli e i tradimenti possono ribaltare interi imperi, emerge il racconto di Errico D’Ambrosio, un collaboratore di giustizia che ha squarciato il velo su tensioni interne al clan Amato-Pagano. Non è solo cronaca, è un riflesso di come il nostro tessuto sociale si logori sotto il peso di questi giochi di potere, dove la paura diventa il vero boss.

D’Ambrosio, ora protetto dallo Stato, ha condiviso con i magistrati della DDA napoletana dettagli che rivelano quanto il mondo del narcotraffico locale sia fragile di fronte a defezioni inaspettate. Antonio Pompilio, soprannominato ‘o Cafone e figura chiave nella gestione delle rotte della droga per conto del clan, aveva iniziato a mostrare segni evidenti di inquietudine dopo aver appreso della scelta di Raffaele Imperiale di passare dalla parte della giustizia. Quella mossa, paragonabile a un terremoto nei bassifondi, ha incrinato le certezze di un sistema che, qui a Napoli, si regge su alleanze precarie e segreti sepolti.

Ma non è stato solo Imperiale a innescare l’allarme. Pompilio si era reso conto che le microspie, piazzate con astuzia nella sua auto e nell’abitazione usata per gli incontri del clan, erano state individuate e rimosse. Questo evento ha trasformato la sua vita in un incubo a occhi aperti, facendolo passare da predatore a preda. Non temeva più solo le istituzioni – la DIA era ormai sulle sue tracce – ma anche i suoi stessi alleati, quei “fratelli d’armi” che, in questa terra di doppi giochi, possono voltarti le spalle per un pugno di euro. È un classico delle nostre storie locali: la camorra, che si nutre di lealtà apparente, crolla quando i sospetti serpeggiano, lasciando esposti i più deboli.

Al centro di tutto, come un’ombra potente che domina dalle retrovie, c’è Debora Amato, definita dai pentiti come “la signora del clan”. Temuta e rispettata negli ambienti criminali partenopei, era lei, insieme al marito Mimmo – il vero anello di congiunzione tra il clan e i grandi trafficanti di cocaina – a dettare le linee guida. In una Napoli dove le donne come Debora incarnano il potere invisibile, ogni mossa importante passava dal loro giudizio, un reminder di come i ruoli tradizionali si mescolino al crimine, riflettendo le dinamiche familiari della nostra società.

Proprio nel luglio del 2023, Debora e Mimmo si erano recati in Spagna per un incontro “chiarificatore” con Pompilio, con l’obiettivo di passare in rassegna i conti del clan e rimettere ordine tra le fila. Ma, come spesso accade in queste storie, ciò che doveva essere una riunione di routine si è trasformato in un vertice carico di tensioni, dove i sospetti aleggiavano più pesanti del caldo estivo. Barcellona, una meta esotica per i trafficanti in fuga, è diventata il palcoscenico di paure profonde.

Pompilio arrivò in quella città con la convinzione che la sua vita fosse in pericolo, e aveva esplicitamente espresso timori nei confronti di Enrico Bocchetti, un pezzo grosso del gruppo di Mugnano. D’Ambrosio ricorda di essere stato lì, in Spagna, tra giugno e agosto 2023, insieme ad altri affiliati, incluso “Checco” di San Pietro a Patierno, il fidato di Mimmo. Fu proprio Checco a riferire che l’incontro non aveva portato a nulla di buono. “La pace con Bocchetti non c’è stata”, aveva detto, sottolineando come solo Debora avesse provato a mediare, promettendo a Pompilio che Bocchetti – nel frattempo finito in carcere – non avrebbe alzato un dito contro di lui. Eppure, il Cafone non si fidava più: era un uomo segnato, deciso a restare in esilio per salvarsi la pelle.

Dietro a tutto questo, come al solito, c’erano i soldi, il motore invisibile che fa girare la camorra napoletana. D’Ambrosio ha svelato l’esistenza di una “società” segreta, orchestrata dal gruppo di Mugnano per gestire la vendita di droga al di fuori del controllo diretto del clan. Quei profitti, che arrivavano a toccare i 40mila euro al mese, venivano divisi tra Pompilio, Marrone Antonio, Calzone Carlo, Carletto il Piccolino, Enzo Tempesta, Errichelli Maurizio detto Sciminione e altri veterani. Ma quando Bocchetti scoprì che Pompilio aveva lasciato trapelare dettagli su questa operazione, è scoppiata l’ira. Per gli uomini di Mugnano, quella soffiata era un tradimento che poteva costare caro, trasformando Pompilio in un bersaglio anche tra i suoi.

Come cronista di questa terra, non posso fare a meno di riflettere su quanto questi eventi rivelino delle nostre ferite aperte: la camorra non è solo un problema di criminali, è uno specchio dei nostri fallimenti sociali, dove la paura e il denaro alimentano cicli di violenza che toccano interi quartieri. Napoli merita di più di questi drammi interni, ma finché non affrontiamo le radici di queste alleanze oscure, storie come questa continueranno a ripetersi, lasciando la nostra comunità a raccogliere i cocci.

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