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Cronaca

Nel nostro carcere locale, il Garante dei Detenuti denuncia: “Bambini in cella, una barbarie disumana che non possiamo ignorare”.

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Nel nostro carcere locale, il Garante dei Detenuti denuncia: “Bambini in cella, una barbarie disumana che non possiamo ignorare”.

Scandalo nell’ICAM di Lauro: Madri incinte in carcere senza assistenza, una vergogna che infanga la nostra terra! #GiustiziaInumana #DirittiInfanzia #CampaniaVergognati

In una regione come la Campania, dove la vita quotidiana è già segnata da sfide sociali e disuguaglianze, la denuncia del Garante dei detenuti Samuele Ciambriello squarcia il velo su una realtà che appare come una ferita aperta nel tessuto della nostra comunità. Qui, dove le famiglie lottano per il quotidiano, ci troviamo di fronte a un dramma che non è solo nazionale, ma profondamente locale, con ripercussioni che riecheggiano nelle nostre strade e nelle nostre coscienze. “Una barbarie”, “disumanità” di cui “c’è chi si vanta”, come se queste sofferenze fossero un trofeo in un sistema che ha perso ogni umanità.

Al livello nazionale, sono 28 le madri detenute in Italia, molte delle quali incinte, che condividono le celle con i loro 26 figli. Questa crisi si concentra in strutture specifiche, come gli istituti femminili di Rebibbia e Bollate, e negli ICAM di Milano, Torino, Venezia e Lauro. Ma come cronista che conosce bene il territorio campano, non posso ignorare come il problema si ingigantisca proprio qui da noi, nell’ICAM di Lauro, in provincia di Avellino, un luogo che dovrebbe essere un rifugio attenuato e invece si trasforma in un incubo.

Proprio a Lauro, dove le colline verdi contrastano con le ombre del carcere, sono rinchiuse 8 madri, e ben 4 di loro sono in gravidanza. Ciambriello evidenzia una falla non solo sanitaria, ma anche morale, che ci fa interrogare sul fallimento delle nostre istituzioni locali. Tre di queste donne sono tra il quarto e il sesto mese, mentre una è vicina al parto, esponendo tutti a rischi infettivi gravi. E qui arriva il colpo al cuore: in una struttura pensata per accogliere queste madri vulnerabili, “manca un ginecologo operativo” e “manca anche un pediatra fisso”. Come giornalista del territorio, mi chiedo: è possibile che in una zona come l’Avellinese, con le sue eccellenze sanitarie vicine, non si riesca a garantire nemmeno l’essenziale? Quei “sei bambini senza colpe in carcere”, innocenti in un mondo di sbarre, meritano di meglio. La domanda di Ciambriello, che riecheggia le nostre frustrazioni locali, è più che legittima: “Perché non in casa-famiglia? Nessun bambino o bambina dovrebbe crescere dietro le sbarre”.

Questa non è solo negligenza, ma il risultato di scelte politiche che Ciambriello definisce un pericoloso “populismo penale, politico e mediatico”. Puntando il dito contro il Decreto Sicurezza, il Garante critica una legge che ha alterato i principi di civiltà. “È stato il Decreto Sicurezza a dare il disco verde per mettere in carcere donne incinte”, rendendo “facoltativo, e non più obbligatorio, il rinvio della pena per donne in gravidanza e per quelle con figli sotto i 3 anni”. Come qualcuno che vive e respira l’aria di Napoli e della Campania, vedo in questo un riflesso di come le politiche nazionali si ripercuotono sul nostro territorio, alimentando un clima di allarme sociale che ignora le conseguenze umane. È una risposta a paure collettive, ma a quale costo? Qui, dove le famiglie sono già provate dalla precarietà, questo decreto aggrava le disuguaglianze, trasformando il carcere in una trappola per innocenti.

La riflessione di Ciambriello va dritta al cuore del dibattito: “Quali colpe hanno i bambini di madri detenute? E se anche una donna incinta ha commesso un reato, può mai il carcere essere l’unica risposta?”. In un contesto locale come il nostro, dove le storie di emarginazione sono all’ordine del giorno, questa domanda non è retorica, ma un invito a un esame di coscienza. Non possiamo continuare a confondere giustizia con vendetta, separando il destino di una madre da quello del suo bambino. L’appello finale del Garante è un grido che risuona nelle piazze della Campania: “Possiamo e dobbiamo aiutare questi bambini ingiustamente troppo adulti. Il bambino è un’entità a parte, non una cosa unica con la madre. Tutto questo è una barbarie”.

Come cronista locale, vedo in questa situazione non solo un fallimento istituzionale, ma un’opportunità per mobilitare la nostra comunità, spingendo per riforme che rispettino la dignità umana nel cuore stesso del nostro territorio. È tempo di agire, prima che queste storie diventino solo numeri in un rapporto dimenticato.

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