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Cronaca

Napoli, nel labirinto del clan Amato-Pagano: la cupola nascosta che sfida il quotidiano.

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Napoli, nel labirinto del clan Amato-Pagano: la cupola nascosta che sfida il quotidiano.

La rete invisibile del clan Amato-Pagano: da Melito ai confini del mondo #AntimafiaNapoli #ClanInTrasformazione #CronacaLocale

Da Melito ai deserti di Dubai, il clan Amato-Pagano continua a intrecciare i suoi affari nel traffico di cocaina, dimostrando come la camorra si adatti alle ombre globali senza perdere il controllo sulle strade di casa. Come cronista di queste parti, so bene che qui a Napoli, dietro ogni arresto, c’è una storia di resilienza criminale che erode il tessuto sociale, lasciando cicatrici che vanno ben oltre le manette.

Le inchieste della Direzione Distrettuale Antimafia hanno finalmente mappato i tentacoli di questo impero sotterraneo, che spinge la polvere bianca attraverso i porti europei, arricchendo pochi a danno di molti. Collaboratori come Imperiale e i nuovi pentiti hanno portato alla luce i nomi e i volti di chi tirava le fila, svelando un meccanismo che pare indistruttibile. “Gli Amato-Pagano non muoiono mai, cambiamo solo indirizzo”, come annotato da un investigatore, e in effetti, questa frase risuona come un’amara profezia per chi, come me, vede da anni come questi clan si spostino per eludere la giustizia, lasciando comunità come Melito e Mugnano a fare i conti con la corruzione dilagante.

L’arresto di Antonio Pompilio, noto come ‘o Cafone, ha segnato un capitolo di chiusura per una fase cruciale del clan. Lui era il pilastro durante i tempi bui, quando le intercettazioni nelle abitazioni di Melito e Mugnano avevano esposto troppo, e gli agenti della DIA erano entrati nelle stanze più segrete. Ma, come spesso accade in questi ambienti, il potere non svanisce: si dissolve e riemerge altrove, adattandosi ai nuovi scenari. È una danza familiare per noi locali, dove ogni generazione di camorristi impara a reinventarsi, perpetuando un ciclo che tocca da vicino le nostre vite quotidiane, dai quartieri periferici ai traffici internazionali.

Al centro di questa evoluzione rimane la figura enigmatica di Debora Amato, non solo consorte di Mimmo, ma vera mente dietro le quinte. Una donna che, secondo i racconti dei pentiti, esercitava un’autorità assoluta, imponendosi con uno sguardo che incuteva timore a uomini temprati dalla strada. “Era lei che decideva – raccontano – insieme al marito. Tutti la temevano.” Dopo gli arresti dei vecchi capi, Debora avrebbe orchestrato i legami con la Spagna, supervisionando i flussi di denaro e i bilanci familiari. Quell’incontro a Barcellona nell’estate del 2023 simboleggia perfettamente questa transizione: un vertice tra esiliati, zeppo di sospetti e accordi, mentre la cocaina continuava il suo viaggio dai porti iberici fino alle piazze napoletane. Come giornalista del posto, mi chiedo quante famiglie qui, schiacciate dalla povertà, finiscano invischiate in questo sistema, attratte da false promesse di ricchezza.

Le tensioni interne, però, stanno erodendo la solidità del gruppo. Pompilio temeva per la sua vita, e non a torto, come confermato dal pentito D’Ambrosio: era diventato un peso, troppo influente e vicino ai profitti globali. Il nucleo di Mugnano, guidato da Bocchetti Enrico, non gli perdonava l’aver creato una “società” parallela per lo spaccio, che arricchiva pochi al di fuori delle regole tradizionali. Questa spaccatura è anche un riflesso di un divario più ampio, tra i veterani legati alla vecchia guardia Amato-Raffaele e i giovani rampolli, più focalizzati sulle rotte internazionali e sui contatti con broker esteri, ignorando le gerarchie di un tempo. Vivendo in mezzo a tutto questo, vedo come queste fratture non siano solo criminali, ma specchio di una società napoletana in mutazione, dove il desiderio di modernità si scontra con radici di violenza.

Un episodio minore, ma rivelatore, sottolinea il declino dell’antico ordine: poco prima dell’arresto di Rosaria Pagano, la madre di Pompilio si era rivolta al pentito Sabev Tsvetan per un’intercessione, sperando di recuperare da 200 a 300 mila euro che Imperiale doveva al figlio. La replica di Rosaria Pagano fu spietata e definitiva: “non mi interessa della cafona”. Un rifiuto che non solo segnò la fine di un’alleanza familiare, ma incarnò il cinismo di un mondo dove i legami si spezzano per denaro. Per chi come me frequenta questi territori, è un promemoria che la camorra non è solo affari, ma una rete di tradimenti che avvelena le relazioni comunitarie.

Oggi, le testimonianze di collaboratori come Imperiale, Carbone, D’Ambrosio e Sabev offrono agli inquirenti un quadro completo: gerarchie fluide, percorsi di denaro e vie del narcotraffico. Con l’arresto di Pompilio, la leadership si è dispersa, affidata a figure di secondo piano che gestiscono fette di territorio e mantengono i contatti con fornitori stranieri. Eppure, la vera forza del clan sta nella sua elasticità, nel saper spostare le basi economiche in luoghi remoti come la Spagna, l’Olanda o gli Emirati, dove lo Stato lotta per intervenire. Parlando con la gente del posto, emerge un’amara realtà: questa “nuova cupola invisibile” è meno vistosa, ma egualmente radicata, con i vecchi cognomi – Amato, Pagano, Liguori, Pompilio – che cedono il passo a figli, parenti e broker digitali. È un’evoluzione che, purtroppo, continua a nutrirsi delle vulnerabilità del nostro territorio, lasciando Napoli a combattere contro un’ombra che si allunga su ogni angolo.

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