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Cronaca

Napoli, la piaga della violenza giovanile: due anni di tragedie tra minorenni armati e innocenti caduti.

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Napoli, la piaga della violenza giovanile: due anni di tragedie tra minorenni armati e innocenti caduti.

La “guerra dei ragazzi” a Napoli: sangue innocente e baby killer nel cuore della città #NapoliViolenta #GiovaniInPericolo #CamorraGiovanile

Negli ultimi due anni, Napoli e la sua provincia si sono trasformate in un campo di battaglia silenzioso, dove la violenza giovanile non è più un’eccezione ma una routine all’ombra dei vicoli storici e dei palazzi popolari. Come cronista locale che percorre queste strade ogni giorno, vedo questa escalation non solo come una statistica, ma come il fallimento di una comunità che lascia i suoi figli in balia di un sistema che li trasforma in carnefici o vittime. È un fenomeno che conosco fin troppo bene, dove la camorra recluta minorenni per i suoi sporchi affari, e il risultato è una scia di sangue che ci fa vergognare del nostro territorio.

Il quadro è allarmate: dall’estate 2023, con l’omicidio dell’innocente Giogiò Cutolo, fino al recente caso di Marco Pio Salomone, “strage di giovani”, come la definiscono gli investigatori. Sono almeno 10 i giovanissimi caduti, tutti tra i 15 e i 24 anni, spesso intrappolati in dinamiche di spaccio, faide per il controllo delle piazze e un facile accesso ad armi che circolano come giocattoli nei nostri quartieri. Qui, da Secondigliano a Pianura, non si tratta solo di cronaca nera, ma di un riflesso della nostra realtà quotidiana, dove la disoccupazione giovanile sfiora il 45% e le scuole sono abbandonate da migliaia di ragazzi. È ironico, se ci pensate, che in una città piena di storia e bellezza, siano proprio i nostri adolescenti a pagare il prezzo più alto per l’incapacità di offrire alternative.

Prendiamo i numeri: nel 2023, la provincia di Napoli ha contato 16 omicidi, di cui 10 in città, e nel 2024 siamo arrivati a 13 omicidi e 49 ferimenti da arma da fuoco legati alla camorra. Questi dati, che seguo da anni nelle aule dei tribunali e nei rapporti della Direzione Investigativa Antimafia, raccontano di una organizzazione criminale che si è evoluta, usando minorenni come “esecutori” o “scudi umani” in scontri sempre più militari. Casi come quello di Emanuele Tufano, 15 anni, ucciso alla schiena mentre fuggiva in motorino durante una sparatoria nel centro storico, o di Santo Romano, 19 anni, ammazzato per una lite banale su una scarpa sporcata, non sono isolati. Sono sintomi di un male più profondo, dove un quattordicenne può impugnare una pistola senza pensarci due volte, come nel tentato omicidio a nord di Napoli che ha ferito un ventenne.

Le indagini, tra cui quella che ha portato a 16 ordinanze di custodia per gli omicidi di Tufano e Durante, rivelano un pattern inquietante: clan come i Sequino reclutano ragazzi per ridurre i rischi, sfruttando la loro minore età. Nel 2023 e 2024, i reati minorili sono saliti del 17%, con oltre 400 procedimenti per armi e 60 per armi da fuoco a carico di under 18. Da cronista che vive questi quartieri, mi chiedo: è davvero una sorpresa? Con la dispersione scolastica ai massimi livelli e parchi giochi trasformati in zone di guerra, come possiamo aspettarci che i ragazzi resistano? Operazioni antimafia, come quelle che hanno sgominato gruppi giovanili modellati sulla vecchia “paranza dei bambini”, confermano che questi minorenni non sono solo pedine, ma il futuro della criminalità organizzata.

E poi ci sono le vittime innocenti, quelle che non avevano nulla a che fare con i clan ma che sono finite nel fuoco incrociato. Pensate a Francesco Pio Maimone, 18 anni, ucciso per una scarpa griffata, o ai passanti feriti da colpi vaganti nei Quartieri Spagnoli. Queste storie, che ho visto sbattere in prima pagina una dopo l’altra, mostrano come la camorra non rispetti più confini: un agguato in una sala slot a Cesa o una sparatoria in una piazza affollata non è più un evento isolato, ma il segno di una società fragile. Le associazioni locali e gli operatori sociali, che conosco per aver collaborato con loro, sottolineano come la mancanza di infrastrutture – dai centri sportivi ai doposcuola – spinga questi ragazzi verso la strada. È una critica che non posso tacere: mentre le istituzioni si concentrano sulla repressione, ignoriamo le cause, come la disoccupazione cronica e l’assenza di opportunità, che trasformano quartieri interi in incubatori di violenza.

In fondo, questa “guerra dei ragazzi” non è solo un’emergenza di ordine pubblico, come la definiscono i politici, ma un grido d’aiuto da una città che sta perdendo la sua anima. Con l’ultimo omicidio di Marco Pio Salomone, avvenuto in auto all’Arenaccia, ci troviamo di fronte a un bivio: continuare a contare i morti o investire in prevenzione reale? Come napoletano, so che non possiamo permetterci altro sangue innocente; è tempo che le nostre voci locali si uniscano per cambiare rotta.

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