Cronaca
Napoli, il dramma personale di Francesco Pio Valda dal carcere: “Questa tragedia mi logora ogni giorno”.
#Napoli, un giovane ergastolano legge in aula la sua lettera di pentimento: “C’è sempre stata da parte mia la volontà di chiedere scusa alla famiglia di Francesco Pio Maimone” #GiustiziaNapoli #RiscattoOPiùTardi
In una Napoli che troppo spesso vede le sue aule giudiziarie diventare teatro di drammi umani, la seconda udienza del processo d’appello per Francesco Pio Valda ha portato un momento di rara intensità. Questo ventunenne, già condannato all’ergastolo in primo grado per aver sparato fatalmente durante una banale lite notturna, ha deciso di leggere una lettera scritta di suo pugno, un testo che mescola rimorsi e riflessioni su una vita segnata dal caos. Non è insolito, da queste parti, assistere a gesti come questo – un tentativo di umanizzare chi ha commesso l’irreparabile – ma come cronista locale, non posso fare a meno di chiedermi quanto queste parole pesino davvero contro il dolore che hanno generato.
Valda, coinvolto nell’episodio del 20 marzo 2023 agli chalet di Mergellina, dove una discussione per delle scarpe macchiate è sfociata in un gesto estremo contro un gruppo di ragazzi dal Rione Traiano, ha riempito quattro pagine di stampatello crudo e senza correzioni. In esse, dipinge un ritratto di se stesso come un giovane consumato dal rimpianto, oscillando tra il dolore personale e la consapevolezza delle vite distrutte. È un classico esempio di quanto la nostra città sappia essere un crogiolo di storie contrastanti: da un lato, i sogni spezzati di ragazzi perbene come Francesco Pio Maimone, un semplice pizzaiolo di Pianura; dall’altro, la spirale di violenza che avvolge quartieri come Barra, dove il rispetto si confonde con l’arma facile.
Nelle sue righe, Valda non lesina autocritica, ammettendo: “Questa tragedia mi consuma giorno dopo giorno e confesso che, all’inizio, nemmeno potevo credere che per causa mia un ragazzo della mia età avesse perso la vita. Non riesco a perdonarmi ciò che ho fatto. Ogni notte ripenso a quella sera, a ciò che potevo evitare, a come una scelta assurda ha distrutto due famiglie, la loro e la mia”. Poi, apre uno squarcio sulla sua infanzia travagliata, un tema che risuona fin troppo familiare nelle cronache napoletane: “Ho perso mio padre da bambino, ucciso a colpi di pistola. Non ho avuto una madreaccanto. Sono cresciuto tra strade sbagliate e persone che mi hanno insegnato che un’arma dava rispetto. Ma non ho mai conosciuto il rispetto vero, quello che si conquista con la dignità e il lavoro. Guardando oggi la famiglia di Francesco Pio, capisco cosa mi è mancato”.
Parlando del suo presente dietro le sbarre, Valda descrive un percorso di riscatto che, da osservatore del territorio, trovo sia un po’ tardivo ma non del tutto sorprendente. In carcere, ha scoperto il valore dello studio, qualcosa che molti giovani napoletani come lui ignorano fin da piccoli, intrappolati in contesti familiari disfunzionali. “Non ho mai frequentato scuole. Nel carcere ho scoperto lo studio, e per la prima volta mi sono sentito diverso. Frequento la scuola superiore Ipsia, e mi impegno ogni giorno per cambiare. Riconosco di essere una persona diversa da quella che ero: oggi ho tanta voglia di dare un senso alla mia misera vita. So che non potrò mai restituire nulla, ma voglio almeno provare a non essere più un male per nessuno”. È un’affermazione che, mentre leggo, mi fa riflettere su quanto il nostro sistema penale possa essere un’ancora di salvezza o solo un palliativo, in una città dove le opportunità per i ragazzi di periferia scarseggiano.
La lettera si conclude con una nota di umiltà e richiesta di perdono: “So che nessuna parola potrà lenire il dolore dei genitori di Francesco Pio. Ma vorrei che sapessero che ogni giorno mi pesa ciò che ho fatto. Non cerco compassione, solo la possibilità di essere, un giorno, una persona migliore”. Queste parole, lette in aula dal presidente della Corte, hanno creato un silenzio carico di tensione, con il pubblico e i presenti che hanno assistito a un momento di rara esposizione emotiva. Il suo avvocato, Antonio Iavarone, ha chiarito che non si tratta di una mossa per alleggerire la pena, ma di un genuino cammino interiore. E il 20 novembre, Valda avrà l’opportunità di esprimersi di nuovo con dichiarazioni spontanee in videoconferenza, prima che i giudici deliberino.
Ma non tutti sono disposti a concedere il beneficio del dubbio. Antonio Maimone, il padre della vittima, ha risposto con parole che echeggiano il cinismo radicato nelle nostre strade, dove il perdono è un lusso che pochi possono permettersi. “Ho ascoltato con attenzione e con dolore la lettera di Francesco Pio Valda. Le scuse, il pentimento, la presa di coscienza erano prevedibili. Dopo una condanna all’ergastolo, era un passo necessario”. E continua, con una franchezza che non posso non apprezzare come giornalista locale: “Non mi sento di giudicare l’animo umano, ma mi limito ai fatti. Mio figlio era un ragazzo perbene, lavorava, aveva sogni e amici sinceri. Valda, invece, era figlio di una famiglia criminale e ha scelto di seguire quella strada. Il padre boss, il fratello in carcere, la nonna condannata per droga, la sorella per truffa. Lui ha messo insieme un gruppo di giovani armati che seminavano paura, imponendo con la violenza il loro dominio su Barra. Chi sceglie il crimine non può poi chiedere pietà”.
In questa vicenda, due mondi si scontrano irrimediabilmente: quello di un assassino che tenta di redimersi e quello di una famiglia straziata che non ha più nulla da dare. Come cronista che vive e respira queste dinamiche quotidiane, vedo Napoli come uno sfondo tragico, dove le notti troppo spesso trasformano sogni giovanili in incubi di violenza. Il vero interrogativo che resta sospeso è se un pentimento arrivato in ritardo possa mai bilanciare il peso di una vita spezzata, o se si tratti solo di un’eco vana in una città che continua a lottare contro i suoi demoni.
