Cronaca
Napoli, gli amici rendono omaggio a Marco Pio Salomone con uno striscione che unisce il quartiere nel ricordo quotidiano.
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Nei vicoli affollati di Arenaccia, un quartiere che conosco fin troppo bene per le sue ombre e le sue storie di resilienza, gli amici di Marco Pio Salomone hanno trasformato un semplice ricordo in un atto di forza che va ben oltre il lutto. Non si tratta solo di un addio a un ragazzo di 19 anni strappato via nella notte tra venerdì e sabato, ma di un messaggio chiaro, un’affermazione di presenza in un territorio dove il dolore si mescola spesso con il potere.
Quello che è successo ieri sera è stato più di una commemorazione: una manifestazione non autorizzata, con striscioni e foto condivisi sui social, dove tutti indossavano magliette bianche con il volto di Marco Pio. “Pio fratellino nostro, rimarrai per sempre nel nostro cuore e nei nostri ricordi. Non sari mai dimenticato. Vivrai per sempre nei nostri cuori. Ti amiamo”. Questa frase, carica di emozione, è seguita da un’altra che risuona come un’eco familiare nelle strade di Napoli: “Non lo spegni il solo se gli spari”. E poi, un grido di continuità: “Pio Salomone Vive”. Parole che, in un contesto come questo, non sono solo un tributo, ma un avvertimento a chi ha premuto il grilletto e a chi tira le fila dietro le quinte. Come cronista di queste zone, vedo in questo gesto una doppia faccia: l’affetto genuino per un amico perduto, ma anche la tensione di un gruppo che si riafferma, magari per non perdere terreno in un quartiere dove le alleanze sono fragili e i nemici sempre in agguato.
Le indagini della Squadra Mobile di Napoli, coordinate dalla DDA, sono ancora in corso e non lasciano spazio a illusioni. L’arma del delitto è sparita, i motivi dell’omicidio restano nebulosi, e il racconto del baby killer – un quindicenne che ha confessato – non quadra del tutto. I suoi tre amici, tutti con precedenti, erano in auto al momento dello sparo, ma le loro versioni non convincono gli inquirenti. E mentre si cercano i complici, già individuati in parte, non posso fare a meno di riflettere su come questo caso specchio le dinamiche locali: qui, nel cuore di piazza Carlo III, lo spaccio di droga non è un segreto, ma un ingranaggio che macina vite giovani. Qualcuno ha provato a etichettare l’omicidio come una lite banale, forse per uno sguardo di troppo, ma la verità che emerge è più cruda. Tutti i protagonisti, compreso il killer minorenne – che, nonostante la sua umile famiglia non legata alla camorra, conosceva già le strade, saltava la scuola e era fuggito da una comunità – orbitano attorno a quel mondo sotterraneo.
È ironico, se ci pensate, come questi rituali di lutto diventino spettacoli social, con minacce che fioccano sui profili dei parenti del responsabile. Quelle minacce, ovviamente, sono finite nelle mani degli investigatori, confermando quel che tutti qui sanno: il Tribunale della camorra, per così dire, ha già emesso i suoi verdetti, molto prima della giustizia ufficiale. Come qualcuno del posto mi ha confidato, in quartieri come Arenaccia, il ciclo della violenza non si spezza con un’indagine; si alimenta con gesti come questi, dove l’affetto si confonde con la vendetta. È un promemoria amaro per la comunità: finché non si affronta alla radice il legame tra giovani, droga e potere, queste storie continueranno a ripetersi, lasciando dietro solo striscioni sbiaditi e troppi cuori spezzati.
