Cronaca
L’omicidio Maimone riaccende i riflettori: il giovane boss Valda in aula per l’appello contro l’ergastolo.
#ProcessoAppelloMaimone: Domani Napoli si interroga su giustizia e violenza giovanile, in una città che non può più permettersi silenzi {#Napoli #GiustiziaPerFrancesco #StopViolenza}
Domani, giovedì 6 novembre, le aule della quinta sezione penale della Corte di assise di appello di Napoli torneranno a echeggiare di un dolore che non si è mai spento. È l’appello per l’omicidio di Francesco Pio Maimone, una storia che ha lasciato un segno indelebile su questa città, dove le faide tra clan e la vita quotidiana si intrecciano in modi imprevedibili e tragici. Come cronista locale, cresciuto tra le strade di Napoli, non posso fare a meno di vedere in questa vicenda non solo un processo, ma un riflesso di quanto siamo ancora lontani dal spezzare il ciclo di violenza che avvelena le nostre periferie e i nostri quartieri.
Al centro dell’udienza c’è Francesco Pio Valda, il giovane di 21 anni bollato come “baby boss” e già condannato all’ergastolo in primo grado per l’assassinio. Accanto a lui, un nucleo di familiari e complici – tra cui Alessandra Clemente, sua cugina, Salvatore Mancini, Giuseppina Niglio e Pasquale Saiz – che hanno ricevuto pene minori per i loro ruoli nei fatti correlati. È una rete familiare e sociale che, qui da noi, troppo spesso si trasforma in un alibi per la criminalità, alimentando quel senso di impunità che fa infuriare la comunità.
La notte tra il 19 e il 20 marzo 2023 a Mergellina rappresenta uno di quei momenti che Napoli non dimentica facilmente. Francesco Pio Maimone, un semplice pizzaiolo noto per la sua onestà e dedizione al lavoro, si era ritrovato nel posto sbagliato al momento sbagliato: una banale serata con amici, trasformata in un inferno da una rissa tra bande rivali. Secondo le ricostruzioni della Procura, confermate dalla sentenza iniziale, Valda ha estratto un’arma in mezzo al caos, e un colpo vagante ha raggiunto Maimone al cuore, spegnendo la sua vita all’istante. È una storia che mi fa riflettere, come napoletano, su quanto la nostra città sia un palcoscenico per queste tragedie “assurde”, dove un giovane innocente paga il prezzo di lotte territoriali che non gli appartenevano. Mergellina, con i suoi chalet e il mare, dovrebbe simboleggiare svago e normalità, non un campo di battaglia per clan che si contendono il controllo delle strade.
Mentre ci avviciniamo a questa nuova fase processuale, la voce della famiglia Maimone risuona come un appello disperato alla coscienza collettiva. Assistiti dall’avvocato Sergio Pisani, i parenti della vittima continuano a chiedere giustizia, e le parole del padre, Antonio, sono un pugno nello stomaco per tutti noi: “Sono 32 mesi che Francesco Pio manca agli affetti della sua famiglia”. Egli descrive con crudo realismo l’orrore di quella notte: “Quella notte a Mergellina perdeva la vita a causa di un proiettile sparato da un coetaneo, senza che gli fosse lasciata via di scampo”. E poi, con una forza che solo un padre in lutto può trovare, lancia un monito: “Noi riponiamo la speranza interamente nella Magistratura e al Giudice ci rivolgiamo chiedendo una pena esemplare. Francesco Pio non tornerà all’affetto dei suoi cari, ma una pena esemplare può servire da monito per i giovani di questa società che ha bisogno di essere sostenuta e cambiata”. Queste parole, per chi come me vive e respira le dinamiche di Napoli, non sono solo un grido di dolore, ma una critica velata alle istituzioni e alla società che permettono a ragazzi come Valda di diventare “baby boss”, spesso intrappolati in ambienti familiari tossici. È un richiamo a cambiare, a prevenire queste storie prima che diventino cronaca.
A rafforzare questo senso di comunità ferita, il processo vede coinvolte come parti civili non solo la famiglia, ma anche il Comune di Napoli, rappresentato dall’avvocato Marco Buzzo, e la Fondazione Polis, con l’avvocato Celeste Giliberti. È un segnale che questa tragedia ha scosso l’intera città, ricordandoci che la violenza giovanile non è un problema isolato, ma una piaga che erode il tessuto sociale. Come cronista, mi chiedo: quante altre famiglie dovranno subire questo dolore prima che Napoli, con la sua storia di resilienza, decida di voltare pagina? L’appello potrebbe non riportare indietro Francesco Pio, ma se servirà a smuovere coscienze e a imporre pene che fungano da vero deterrente, allora forse è un passo verso quel cambiamento tanto invocato.
In una Napoli che lotta ogni giorno contro le sue ombre, questo processo è più di un’aula di tribunale: è un’opportunità per riflettere su chi siamo e su cosa vogliamo diventare.
