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Cronaca

La faida muta dei D’Alessandro per i bar di Castellammare: un’altra lotta per il territorio locale che non sorprende più nessuno.

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La faida muta dei D’Alessandro per i bar di Castellammare: un’altra lotta per il territorio locale che non sorprende più nessuno.

#CamorraESpionaggioNelCaffè: A Castellammare, il clan D’Alessandro trasforma una tazzina in un atto di potere – #StabiaSottoRacket #AffariTorbidi

Ah, Castellammare di Stabia, la mia città natale: un posto dove il mare è bello, il Vesuvio imponente, e il caffè… beh, il caffè è diventato il nuovo campo di battaglia della camorra. Non parliamo solo di droga o estorsioni classiche, no; qui, il clan D’Alessandro ha fiutato l’opportunità di infilarsi negli affari quotidiani, rendendo merci innocue come caffè e zucchero un vero e proprio strumento di dominio. Come un cronista che vive queste dinamiche ogni giorno, mi chiedo: quanto deve scendere in basso un’organizzazione criminale per trasformare una pausa caffè in un’imposizione mafiosa? È un riflesso triste della nostra realtà locale, dove il consenso si compra con la paura e il territorio si marca come un cane sul suo palo.

L’inchiesta bis della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli ha portato alla luce come questo clan, storico signore di Scanzano, abbia esteso i suoi tentacoli in settori apparentemente puliti. Al centro c’è Pasquale Esposito, 50 anni, genero di Luigi D’Alessandro – meglio noto come “Gigginiello” –, il boss anziano uscito dal carcere dopo quasi tre decenni, e fratello del defunto Michele D’Alessandro. Esposito non era solo un familiare: era il cervello dietro una distribuzione “imposta” di caffè e zucchero ai bar locali, sfruttando il peso intimidatorio del clan per far passare ogni consegna come un ordine non negoziabile.

Non si tratta di un semplice business: è una rete di controllo mascherata da commercio quotidiano. L’indagine ha coinvolto anche Daniele Amendola, 45 anni, titolare della società di ambulanze New Life, e Luigi Staiano, 37 anni, figlio di Maria D’Alessandro – figlia di Gigginiello e cugina dei capi del clan. Staiano, già noto per aver imposto servizi di bevande allo stadio Romeo Menti, era il braccio operativo di questo schema, assicurando che ogni barista sapesse chi comandava davvero. Come giornalista del posto, vi dico: in una città come la nostra, dove il calcio e il caffè sono riti sociali, vedere questi elementi manipolati dal racket è un affronto che ferisce l’anima collettiva. Non è solo corruzione; è un’erosione del tessuto quotidiano, dove ogni espresso versato ricorda ai commercianti che il loro lavoro non è libero.

La guerra interna al clan è scoppiata nell’estate del 2021, documentata dalle microspie dei carabinieri, e raffigura un dramma familiare che sa di telenovela mafiosa. Da una parte, Giovanni D’Alessandro, figlio di Vincenzo detto “Enzuccio”, e Giuseppe Oscurato; dall’altra, proprio Esposito e Staiano. Il contendere? Il monopolio sulla distribuzione del caffè – un mercato che, per la camorra, simboleggia territorio, profitti e potere grezzo. Mentre i primi cercavano di vendere il prodotto in modo “normale”, i secondi lo imponevano con la forza del nome del clan. È ironico, no? In un posto come Stabia, dove tutti chiacchierano al bar, questa lotta trasforma una chiacchierata in un rischio di vita.

Le intercettazioni rivelano conversazioni che mi fanno rabbrividire, perché conosco quei bar e quelle strade. Il 3 giugno 2021, a casa dei suoceri di Oscurato, si è catturata una lunga discussione dove Oscurato sfoga la sua frustrazione: “Andai al bar …omissis.., quello in mezzo alla Villa… loro già tengono il caffè …, ma Pasquale gliel’ha voluto portare lo stesso. Glielo ha buttato a terra, senza dire niente. Quello il caffè lo impone, non lo propone…”. Qui, come locale, vedo l’ombra della paura: i commercianti non scelgono, subiscono. Oscurato racconta di come lui e Giovanni tentassero di proporre il loro caffè onestamente, ma venivano bloccati dagli uomini di Esposito, con minacce implicite che potevano costare licenze o peggio.

Un episodio emblematico coinvolge un barista di Corso Garibaldi, legato a un marchio di caffè da mezzo secolo. Secondo le intercettazioni, Esposito avrebbe preteso: “Mi disse: ‘Qua se vogliono entrare con un altro caffè devono darmi centomila euro per liquidare .-..omissis… e i contratti’… E io gli dissi che aveva ragione. Ma poi il figlio mi rivelò che era già venuto Pasquale a proporglielo, e che glielo aveva portato pure per un periodo”. Questo non è negoziare; è estorsione camuffata. Pochi giorni dopo, Esposito irrompe nel bar e getta il caffè a terra, un gesto che urla intimidazione e riafferma il controllo sul territorio. Come cronista, mi domando: quanti baristi della mia Stabia vivono così, tra il terrore di dire no e la rassegnazione di accettare?

La tensione è esplosa in una vera faida interna, con Vincenzo D’Alessandro e sua moglie pronti a rispondere con la violenza. Non è più solo un affare di caffè; è un’eco delle guerre passate del clan, dove ora il premio è il monopolio su una bevanda che tutti amiamo. Le microspie mostrano Esposito impegnato in distribuzioni capillari – bar, tabacchi, negozi, perfino uffici – trasformando un’attività commerciale in una forma evoluta di racket. Poi, ad agosto 2021, Esposito scappa a Nettuno, nel Lazio, ma non per scelta: era un esilio imposto dal clan per evitare che la lite degenerasse e per preservare alleanze interne.

In fondo, dietro sacchetti di zucchero e tazzine fumanti, c’è un sistema che trasforma il quotidiano in un incubo. Il “caffè del clan”, come lo definiscono gli investigatori, è la nuova faccia del controllo territoriale: una tassa invisibile, servita con un sorriso falso. Per noi di Castellammare, questo non è solo un caso di cronaca; è un monito su come la camorra infetta ogni angolo della vita locale, rendendo persino una semplice pausa un atto di sottomissione. È tempo che la nostra comunità si svegli, perché se il caffè non è più libero, cos’altro lo è?

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