Cronaca
La camorra vesuviana sotto scacco: clan di Dario Federico condannato a oltre due secoli di carcere.
#ClanEmergenteNellAreaVesuviana: Condanne Pesanti per il Gruppo “Famiglia”, un Segno dei Tempi Cambiati qui da Noi
Nell’area vesuviana, che conosco bene per le sue strade tortuose e le storie di chi ci vive, un nuovo volto della criminalità sta emergendo, riempiendo i vuoti lasciati dai clan storici. Come cronista locale, non posso fare a meno di riflettere su come questi cambiamenti riflettano le nostre debolezze sociali: la crisi economica e i vuoti di potere che attirano sempre nuovi predatori, alimentando un ciclo che sembra infinito.
Il processo, presieduto dal Gup Rossi del Tribunale di Salerno, ha delineato il profilo di un’organizzazione criminale giovane e aggressiva, radicata in Comuni come Scafati, Boscoreale e Castellammare di Stabia. Al centro di tutto c’è “Famiglia”, l’etichetta che questo gruppo si è autoassegnato, un nome che suona quasi ironico in un contesto dove i legami di sangue e fedeltà hanno permesso una rapida espansione in soli quattro anni. Dario Federico, un 49enne originario della periferia di Pompei, è stato identificato come il leader, un figura che, secondo le ricostruzioni degli inquirenti, ha saputo sfruttare il declino di clan consolidati per imporre il suo controllo.
Qui, dove le radici della camorra sono profonde come la terra vulcanica, è impossibile non commentare come questi nuovi clan rappresentino un’evoluzione preoccupante. Federico, già condannato nel 2007 per associazione mafiosa, era reduce da un periodo di latitanza e ha approfittato del “vuoto di potere” lasciato dai gruppi storici come Loreto/Ridosso e Matrone/Buonocore. Al suo fianco, Salvatore Di Paolo, un 47enne di Scafati, fungeva da braccio operativo, mentre l’intera struttura – descritta come piramidale e “a conduzione familiare” – si basava su estorsioni, traffico di droga e detenzione di armi, con forniture legate a figure come Domenico Tamarisco.
Come chi vive queste dinamiche da vicino, mi chiedo: quanto a lungo possiamo ignorare che queste organizzazioni non solo controllano il territorio, ma si inseriscono come arbitri nei conflitti tra bande rivali? L’inchiesta, sfociata in un blitz congiunto di Carabinieri e Guardia di Finanza nel febbraio 2024, ha portato alla luce episodi emblematici, come un’estorsione a un imprenditore nella zona di Marina di Stabia. Questo controllo era così saldo da permettere al gruppo di mediare dispute tra cartelli, regolando confini e punendo intrusioni – un ruolo che, nel nostro territorio, spesso trasforma la criminalità in una sorta di “autorità parallela”, erodendo la fiducia nelle istituzioni.
Le accuse della Direzione Distrettuale Antimafia (DDA) parlano di un sistema ben oliato: estorsioni sistematiche, spaccio di stupefacenti per accaparrarsi le “piazze” di vendita, e un arsenale di armi fornito da contatti esterni. Eppure, la sentenza in rito abbreviato, pronunciata dal giudice Rossi, ha inflitto condanne per un totale di quasi due secoli di reclusione, ben al di sotto dei 323 anni richiesti dal pm Rocco Alfano per i 23 imputati. Questo scarto non è solo una questione legale; è un segnale del nostro contesto locale, dove l’aggravante mafiosa non sempre viene riconosciuta appieno, magari per le complessità delle prove o per le sfumature delle dinamiche territoriali. È una realtà che, da cronista, mi porta a riflettere: stiamo davvero colpendo alla radice questi fenomeni, o ci limitiamo a curare i sintomi?
Ecco l’elenco delle condanne, che per me non sono solo numeri, ma un promemoria delle vite toccate dalla criminalità nel nostro quartiere:
- Dario Federico – 20 anni di reclusione
- Salvatore Di Paolo – 20 anni di reclusione
- Renato Sicignano – 20 anni di reclusione
- Raffaele Forte – 20 anni di reclusione
- Immacolata Orlando – 18 anni e 4 mesi
- Corrado Grimaudo – 13 anni (in continuazione)
- Vincenzo Orlando – 11 anni
- Giuseppe Di Dato (collaboratore di giustizia) – 8 anni
- Raffaele Nappo – 6 anni e 8 mesi
- Daniel Grimaudo – 5 anni
- Domenico “Tamarisco” Nardiello – 2 anni e 8 mesi
- Gianluca Tortora – 2 anni
- Altri imputati – condanne poco superiori a 24 mesi
In un territorio come il nostro, segnato da bellezze naturali e da ombre persistenti, queste storie ci ricordano che la lotta alla camorra non è solo una questione di tribunali, ma di comunità che devono riscoprire la propria resilienza. Qui, dove ogni strada ha una memoria, l’auspicio è che queste condanne non siano fine a se stesse, ma l’inizio di un vero cambiamento.
