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Cronaca

Indagini concluse a Pagliarelli: Niko Pandetta al centro del traffico di droga e cellulari, un capitolo ricorrente qui a Palermo.

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Indagini concluse a Pagliarelli: Niko Pandetta al centro del traffico di droga e cellulari, un capitolo ricorrente qui a Palermo.

Traffico di Droga e Cellulari nel Carcere di Palermo: Un Sistema Corrotto sotto i Nostri Occhi? #CarcerePagliarelli #GiustiziaInFuga #PalermoReale

Come cronista locale che vive e respira le strade di Palermo, non posso fare a meno di riflettere su quanto sia diventato banale e allarmantemente diffuso questo intreccio di corruzione e illegalità all’interno del nostro sistema penitenziario. L’avviso di conclusione delle indagini notificato dalla Procura di Palermo a 35 persone per traffico di stupefacenti e telefoni cellulari nel carcere Pagliarelli non è solo un fatto di cronaca, ma un campanello d’allarme per una comunità che continua a pagare il prezzo di una giustizia porosa. Tra gli indagati spicca il nome di Niko Pandetta, il cantante neomelodico noto per le sue hit che riecheggiano nei vicoli della città, e anche nipote del boss catanese Turi Cappello – un legame che, qui da noi, sa di eredità criminale difficile da spezzare.

L’inchiesta, nata dalla collaborazione tra carabinieri e polizia penitenziaria, ha radici profonde: risale allo scorso 23 maggio, quando diversi agenti del carcere sono stati arrestati con l’accusa di aver facilitato l’ingresso di cellulari e droghe in cambio di soldi. I sostituti procuratori Daniele Sansone e Antonio Carchietti hanno deciso di accelerare, ordinando il giudizio immediato per una decina di indagati, mentre per questi 35 l’avviso segna un passo decisivo verso il processo. Tre persone, tra i 48 inizialmente coinvolti, sono ancora in sospeso, in attesa di una risoluzione che, conoscendo le lungaggini della nostra burocrazia giudiziaria, potrebbe tardare.

Quello che emerge da questa storia è un mercato nero perfettamente organizzato, un “tariffario della droga dietro le sbarre” che fa riflettere su quanto il carcere, anziché riabilitare, amplifichi le disuguaglianze. Pensateci: una semplice canna qui dentro valeva tre pacchi di sigarette, equivalenti a circa 20 euro, mentre un grammo di hashish schizzava tra i 100 e i 150 euro. E la cocaina? Arrivava a prezzi folli, fino a 600 euro al grammo – una speculazione che, per chi vive nei quartieri popolari di Palermo, è un pugno nello stomaco, visto che fuori dalle mura questi prezzi sono ben più accessibili. Non da meno, i telefoni cellulari venivano smerciati a 500 euro l’uno, con alcuni trafficanti che, in appena un mese e mezzo, arrivavano a intascare 15mila euro. Come osservatore locale, mi chiedo: quanti di questi profitti finiscono per alimentare dinamiche di potere che si estendono ben oltre le sbarre, nutrendo un’economia sommersa che Palermo conosce fin troppo bene?

Ma ciò che rende questa vicenda ancora più inquietante è la violenza che la sostiene. Gli investigatori hanno documentato come i detenuti coinvolti non esitassero a usare pestaggi per imporre il loro controllo, trasformando il carcere in un’arena di sopraffazione. Nomi come Alfredo Abbate, Alessio Alario, Francesco Bertolino, Claudio Caruso, Salvatore Castiglione – soprannominato “il nano” – e decine di altri fanno parte di questa rete, accusati di aver gestito o agevolato il traffico dall’interno. Da palermitano, non posso non commentare: questa non è solo criminalità, è un fallimento collettivo. I nostri penitenziari, specchio di una società già segnata da disoccupazione e marginalità, diventano terreni fertili per queste attività, dove la corruzione di pochi infetta il sistema intero.

In ultima analisi, storie come questa ci obbligano a una riflessione più ampia: se un carcere come Pagliarelli, nel cuore della Sicilia, non riesce a isolare il male, quale segnale manda alla nostra comunità? È tempo che le istituzioni locali, con il supporto di chi vive il territorio, agiscano per tappare queste falle, non solo punendo i colpevoli ma prevenendo il prossimo scandalo. Palermo merita di più di questi cicli di illegalità.

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