Cronaca
Dodici anni dopo l’uccisione di Emanuele a 14 anni, il processo locale si rovescia: il PG sollecita assoluzione per legittima difesa, lasciando interrogativi nella comunità.
Dodici anni di dolore per Emanuele: Aversa attende ancora giustizia #EmanueleDiCaterino #NapoliGiustizia #AversaVittime
NAPOLI – In una terra come la Campania, dove le storie di violenza giovanile lasciano cicatrici indelebili, il caso di Emanuele Di Caterino continua a tormentare le coscienze. Quel ragazzino di 14 anni, ucciso ad Aversa in una fatidica sera di aprile 2013, non è solo un nome nei fascicoli giudiziari: è un simbolo di quanto il dolore possa persistere, anno dopo anno, in comunità come la nostra, dove la memoria collettiva non si spegne facilmente.
Ora, a dodici anni dalla tragedia, la vicenda torna sotto i riflettori dell’aula della Corte d’Assise d’Appello di Napoli, portando con sé un senso di inevitabile malinconia. Qui, dove le strade di Aversa e i vicoli di Napoli raccontano storie di adolescenti intrappolati in conflitti che spesso sfuggono al controllo, il sostituto procuratore generale Valter Brunetti ha avanzato una richiesta che ha lasciato molti sconcertati: l’assoluzione per l’unico accusato, Agostino Veneziano. All’epoca un ragazzo di 17 anni, oggi un uomo di 29 che conduce una vita lontana dai tribunali, con un lavoro e una routine apparentemente normale. Eppure, il suo destino resta intrecciato a quel tragico episodio, come se una lama del passato non potesse essere rimossa.
Brunetti, nel suo breve intervento durato poco più di un quarto d’ora, ha dipinto la scena come un atto impulsivo di autodifesa, non mosso dall’odio ma dalla paura. Secondo il magistrato, Veneziano avrebbe reagito in un momento di caos, difendendosi da un gruppo aggressivo che, dopo aver visto Emanuele crollare, lo inseguì con rabbia, lanciandogli persino un casco. Una prospettiva che fa eco a una sentenza precedente, che aveva già assolto Veneziano per le lesioni subite dagli amici della vittima, e che ora si estende all’omicidio come un’estensione logica di quella difesa. Ma come cronista che conosce queste dinamiche territoriali, non posso fare a meno di riflettere su quanto sia facile, in quartieri come Aversa, che le tensioni giovanili escano di mano, trasformando un litigio in una tragedia irreversibile. Tuttavia, questa interpretazione solleva dubbi: è davvero possibile separare l’atto dalla sua conseguenza fatale, o stiamo rischiando di minimizzare il valore di una vita spezzata troppo presto?
Dall’altra parte, la famiglia Di Caterino, rappresentata dagli avvocati Maurizio Zuccaro e Sergio Cola, non cede di un passo. Per loro, l’idea della legittima difesa è “un insulto alla memoria di Emanuele”. Come locali che vivono queste storie, sappiamo quanto pesino parole del genere: non sono solo un’argomentazione legale, ma un affronto al lutto di una comunità intera. I legali insistono che “Fu colpito dritto per dritto alle spalle – ricordano i legali – come accertò l’autopsia. Nessuna colluttazione, nessuna minaccia: solo un ragazzo che cercava di fuggire”. Questa ricostruzione, supportata da prove forensi, dipinge un quadro ben diverso: non un confronto equilibrato, ma un attacco improvviso a un adolescente in fuga. È una narrativa che risuona nelle strade di Aversa, dove molti si chiedono se la giustizia, spesso lenta e burocratica, stia davvero tenendo conto del contesto sociale – un mondo di famiglie spezzate e quartieri segnati da disagi che nessuno risolve.
Le due versioni si scontrano da oltre un decennio, riflettendo le complessità di un territorio come il nostro, dove la linea tra vittima e aggressore può apparire sfocata, ma il dolore rimane nitido. In aula, Veneziano è apparso come un’ombra del passato, seduto in silenzio con lo sguardo basso e le mani strette, quasi a voler contenere i fantasmi di quella notte. Come chi racconta queste storie da vicino, mi domando quanto il sistema giudiziario consideri l’impatto su chi resta: le famiglie, i vicini, l’intera comunità che deve convivere con queste ferite aperte.
Ora, mentre la Corte si prepara a deliberare a metà dicembre, ponendo potenzialmente fine a questa odissea legale che ha attraversato generazioni, una domanda rimane sospesa nell’aria di Napoli e Aversa: Emanuele è stato vittima di un tragico sbaglio o di una decisione calcolata? In un contesto locale dove simili casi alimentano dibattiti su educazione giovanile e prevenzione della violenza, questa sentenza potrebbe non chiudere solo un capitolo, ma influenzare come affrontiamo il futuro delle nostre strade.
