Cronaca
De Laurentiis infuriato: “Stadio Maradona un disastro totale”. Frecciatina amara alla politica locale napoletana.
#DeLaurentiisAlForum: Lo stadio di Napoli è un “semicesso” e la politica italiana il vero nemico del calcio #Napoli #CalcioLocale #BusinessFootball
In una Milano che brulica di eventi e dibattiti sul futuro del pallone, il patron del Napoli Aurelio De Laurentiis ha portato un po’ di quel fuoco partenopeo che conosciamo bene quaggiù al Sud. Dal palco del Football Business Forum all’Università Bocconi, organizzato da La Gazzetta dello Sport e Sda Bocconi, non ha esitato a sparare a zero sulla condizione disastrata del nostro stadio di Fuorigrotta, trasformando un discorso tecnico in un vero j’accuse contro le magagne del territorio. Come giornalista che vive e respira le dinamiche di Napoli ogni giorno, non posso fare a meno di notare come queste parole rispecchino una frustrazione diffusa tra i tifosi e gli abitanti: promesse di rinnovamento che si arenano nella burocrazia, lasciando il nostro impianto a marcire come un relitto del passato.
De Laurentiis, con il suo stile diretto e senza peli sulla lingua, ha dipinto un quadro impietoso della situazione, sottolineando come gli sforzi per migliorare le cose – come quelli fatti durante l’era Ancelotti – siano serviti a poco di fronte a ostacoli insormontabili. Ha portato l’esempio del Paris Saint-Germain, un club che, pagando la stessa cifra al proprio comune, gode di un controllo esclusivo sullo stadio, traducendolo in profitti che superano i 100 milioni l’anno. Da queste parti, invece, la realtà è ben diversa: il Napoli si ritrova a gestire un impianto con vincoli assurdi, pagando lo stesso affitto ma dovendo lottare per averlo solo per il tempo strettissimo della partita. “Noi paghiamo la stessa cifra per avere lo stadio un giorno prima dell’evento, durante la partita, pulirlo e riconsegnarlo il giorno dopo”, ha spiegato, evidenziando come questa gabbia burocratica strozzini qualunque ambizione di crescita commerciale. E qui, da cronista locale, mi viene da commentare: non è solo un problema per il club, è un riflesso di come la nostra Napoli – con le sue risorse smarrite nei meandri della gestione pubblica – perda opportunità economiche che potrebbero rivitalizzare quartieri interi, creando lavoro e comunità attorno allo sport.
Ma le frecciate non si sono limitate alla logistica: il presidente ha preso di mira la struttura stessa dello stadio, quel Diego Armando Maradona che, per quanto leggendario, rimane un simbolo di ciò che non funziona. “Abbiamo uno stadio con una pista d’atletica che non è il massimo, con un fossato che distanzia ancora di più lo spettatore”, ha dichiarato, rimarcando come questi elementi rendano l’esperienza dei tifosi obsoleta e distaccata, lontano dagli standard europei. Come qualcuno che ha visto da vicino le partite qui a Fuorigrotta, devo dire che ha ragione: quel fossato non è solo un dettaglio architettonico, è una barriera che allontana il pubblico dal campo, smorzando l’entusiasmo e rendendo l’atmosfera meno coinvolgente. In una città dove il calcio è ossigeno per le strade, questo handicap competitivo non fa che accentuare il divario con le grandi d’Europa, lasciando i nostri ultras a sognare stadi moderni che sembrano irraggiungibili.
L’attacco più tagliente, però, è arrivato dritto al cuore della questione: la politica italiana. De Laurentiis non ha risparmiato nessuno, definendo le “italian politics” come il vero tallone d’Achille del nostro calcio. “Abbiamo un grosso handicap, ovvero gli ‘italian politics’ che, indecentemente, sono diventati i più grandi nemici del calcio”, ha tuonato, trasformando la critica in un monito sociale. E infine, con un’ironia che sa di avvertimento, ha aggiunto: “Se capissero che ci sono 25 milioni di possibili elettori [i tifosi], forse questi signori cambierebbero le idee”. Da locale, vedo in questo non solo una lamentela, ma un richiamo alla realtà: i tifosi napoletani, e più in generale gli appassionati d’Italia, sono una forza trascurata, un elettorato potenziale che potrebbe spingere i decisori a rivedere priorità come gli investimenti infrastrutturali. Eppure, quante volte abbiamo visto progetti arenati per beghe politiche, lasciando la nostra regione a zoppicare mentre il resto d’Europa corre?
In fondo, il discorso di De Laurentiis è un specchio delle nostre lotte quotidiane a Napoli: tra speranze di rinascita e ostacoli cronici, il calcio rimane un termometro della salute sociale. Se non cambiamo rotta, rischiamo di perdere non solo partite, ma anche la fiducia di una comunità che merita di più.
