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Cronaca

Da Napoli, emerge il ruolo di Carmelo Giuliano alla guida della banda che ingannava anziani nel Nord Italia, un altro capitolo della cronaca locale.

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Da Napoli, emerge il ruolo di Carmelo Giuliano alla guida della banda che ingannava anziani nel Nord Italia, un altro capitolo della cronaca locale.

Truffe agli anziani dal Napoletano: la rete smantellata a Padova, con ombre di camorra #Napoli #Truffe #CrimineOrganizzato #SicurezzaAnziani

Nel cuore delle inchieste che collegano il Nord al Sud, la Squadra Mobile di Padova ha messo fine a una serie di raggiri spietati contro gli anziani, svelando un’organizzazione radicata nel Napoletano. È il 2024 quando scattano le prime segnalazioni di estorsioni e truffe nel Veneto, e ciò che emerge è un quadro allarmante: una banda ben strutturata, con basi solide a Napoli, che ha seminato paura da Padova fino ad Ascoli Piceno. Come cronista locale, cresciuto tra le viuzze di Forcella e Pomigliano, non posso fare a meno di riflettere su quanto queste storie rivelino le crepe di un territorio dove il crimine si intreccia con la quotidianità, sfruttando la disperazione per arricchirsi. È un campanello d’allarme per noi campani, che viviamo con queste dinamiche da sempre, e che ci spinge a chiederci fino a quando potremo ignorare le radici di tali attività.

L’inchiesta parte da una raffica di denunce nel 2024, culminate in 11 misure cautelari personali contro individui residenti a Napoli e provincia. Complessivamente, tra il 2024 e il 2025, gli agenti padovani hanno fermato 21 persone e inserito altri 16 nel registro degli indagati, tutti originari del Napoletano, accusati di far parte di un’associazione per delinquere specializzata in truffe ed estorsioni. Numeri che, da un osservatore locale come me, suonano come un’eco di vecchi schemi camorristici, dove l’illegalità si organizza in reti invisibili ma efficienti.

Al comando di questa macchina, secondo le accuse, c’è Carmelo Giuliano, un 32enne con un curriculum che include associazione camorristica, traffico di droga, tentato omicidio e svariati reati contro il patrimonio. Accanto a lui, come presunto punto di forza, una 22enne di Pomigliano d’Arco, già nota per ricettazione, porto abusivo di armi, resistenza e altri colpi al codice. È una coppia che, dal mio punto di vista, incarna il volto più crudo della periferia napoletana: giovani reclutati in un ciclo di violenza che sembra infinito, alimentato da una miscela di necessità e ambizione criminale. Oltre a questi due, nove individui – uomini e donne tra i 23 e i 53 anni, sparsi tra Napoli, Pomigliano d’Arco e Marigliano – sono stati sottoposti a obblighi di dimora e presentazione alla polizia, misure che li inchiodano ai loro comuni di origine, limitando ogni mossa. Tra loro, storie comuni di precedenti per truffe, furti, rapine e persino uso di documenti falsi, un campionario che, purtroppo, non sorprende chi vive queste zone.

Non colpiti da restrizioni, invece, figurano altri quattro: una 24enne di Napoli, un 33enne di Pomigliano d’Arco, un 20enne di Castello di Cisterna e un’altra 24enne, tutti con trascorsi in truffe e, in un caso, atti persecutori. Nel frattempo, il questore Marco Odorisio ha emesso un foglio di via obbligatorio dal Comune di Padova per quattro anni, un gesto che, da locale, apprezzo come tentativo di arginare l’espansione di questi gruppi, anche se so bene quanto sia difficile estirpare tali radici una volta che si diffondono.

Il fulcro dell’operazione, come ricostruito dagli inquirenti, era un appartamento nel rione Forcella, trasformato in un vero e proprio “centralino” per orchestrare le truffe. Qui, i ruoli erano divisi con precisione militare: qualcuno procurava cellulari usa e getta intestati a prestanomi, altri reclutavano gli “esattori” e pianificavano le trasferte, mentre i “telefonisti” si fingevano marescialli o avvocati. È un meccanismo che, per chi conosce Napoli, riecheggia le vecchie strategie della malavita locale, dove il centro storico diventa un hub invisibile, prosciugando risorse da lontano. Il gruppo operava in tutta Italia, colpendo anziani al Nord e al Centro, con 15 episodi specifici: sei estorsioni e nove truffe aggravate, tutti contro vittime in province come Padova, Modena e Bolzano.

Lo schema era sempre identico, un copione studiato per sfruttare la vulnerabilità: l’anziano veniva contattato da Napoli, con utenze fasulle, da un sedicente rappresentante delle forze dell’ordine o avvocato, che inventava un incidente stradale del figlio o nipote, minacciando l’arresto se non si pagava una cauzione per “sistemare le cose”. Come giornalista del posto, mi chiedo quante volte abbiamo visto simili tattiche qui, dove la paura è usata come leva per estorcere tutto, dai risparmi alle gioie di una vita. Subito dopo, un “esattore” arrivava a casa della vittima per prelevare contanti o preziosi, fingendosi un inviato ufficiale.

Questi esecutori erano per lo più “trasfertisti” campani, che viaggiavano in treno o auto a noleggio dal Nord al Centro, seguendo ordini in tempo reale dai complici a Napoli. Una volta completata la “missione”, rientravano in Campania per consegnare il bottino, con una spartizione rigorosa: gli esattori fotografavano la refurtiva sul posto per evitare furti interni, ricevendo una percentuale tra il 15 e il 20%, che calava al 10% se l’organizzazione prometteva assistenza legale in caso di guai. È un sistema che, dal mio angolo di osservazione, evidenzia la freddezza di queste bande, più simili a imprese che a gruppi improvvisati, e che specchio le disuguaglianze sociali del nostro territorio, dove pochi si arricchiscono a danno dei più deboli.

Le indagini sono partite dai primi casi del 2024, con un’impennata di denunce nel Padovano, portando a intercettazioni telefoniche e analisi di video che hanno smascherato la rete. Grazie a questo lavoro, sono stati recuperati oltre 400 mila euro in contanti e beni, restituiti alle vittime, in un contesto dove, solo nel 2025, il Veneto ha contato 671 truffe simili, per un danno stimato di 5 milioni. Come cronista locale, vedo in questi risultati non solo una vittoria delle forze dell’ordine, ma un invito alla riflessione: il crimine transregionale come quello descritto non è un’anomalia, ma un sintomo di problemi più profondi, dalla mancanza di opportunità ai legami perduranti con la camorra. È tempo che il nostro territorio faccia i conti con queste realtà, per proteggere non solo gli anziani lontani, ma anche la nostra comunità.

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